L'isola
Nel buio della notte estiva la bella signora era distesa sull’acqua, cullata dallo sciabordio delle onde e illuminata dal chiarore lunare. Lea, rapita, osservava da lontano quella magia.
Di fronte a sé l’isola di Capri rifletteva l’immagine di una donna adagiata sul mare, le cui forme erano sottolineate dalle luci intermittenti delle case e dei locali alla moda. Avvolta dall’abbraccio della penisola sorrentina e delle isole di Ischia e Procida, da sempre veniva ammirata da viaggiatori e conterranei.
Appoggiata al terrazzino di una stanza d’albergo, Lea assaporava gli ultimi istanti della sua vacanza oramai al termine; erano state settimane rigeneranti, in cui aveva fatto scorta di affetti, di buon cibo e soprattutto di ossigeno, come definiva lo spirito della città che l’aveva cresciuta. Ogni anno vi faceva ritorno, potendo respirare l’aria mite, ma soprattutto l’ospitalità della gente. Era partita anni prima per realizzare il suo sogno, ma le radici la tenevano ben ancorata alla propria terra, che le mancava ovunque andasse.
Scrutando l’orizzonte Lea non riusciva a staccare gli occhi dall’isola, il luogo dove aveva trascorso tanti momenti spensierati e d’improvviso fu pervasa da una nostalgia struggente. Si rivide bambina, quando si imbarcava sul traghetto da Napoli assieme ai propri genitori per trascorrere i fine settimana al sole e tuffarsi in quelle limpide acque, per poi tornare a casa abbronzata e felice.
All’improvviso si ritrovò adolescente, mentre in canotta e pantaloncini si recava a Capri con gli amici, gustando la sensazione di sentirsi diva con i capelli schiariti dai raggi solari e il colorito caramello sulla pelle, sperando magari di far breccia nel cuore di quel ragazzo troppo timido per dichiararsi in città.
Quanto le piaceva mischiarsi alla folla dei turisti sbarcati sulla spiaggia di Marina Grande, esplorando quel territorio scosceso in tutti gli anfratti. Trascorreva le giornate tra risate e giochi d’acqua, mentre il suo sguardo si perdeva guardando i Faraglioni. Le sembrò poi di sentire il sapore dei gelati alla frutta gustati in piazzetta, mentre i pensieri le rimbalzavano nella testa.
Erano trascorsi tanti anni, rifletté. Allora era ancora una ragazzina, ignara di cosa poteva riservarle il futuro.
D’un tratto sentì di assomigliare a quell’isola. Una parte del suo essere riluceva come le spiagge affollate d’agosto o le casette linde abbarbicate sulle rocce a precipizio; al contempo vi era in lei una parte sommersa, ombrosa, simile alle grotte di Capri, dove si diceva che spiriti dispettosi attendessero i turisti ignari.
Quante volte era andata a infrangersi contro gli scogli aguzzi e si era imbattuta in temibili creature sottomarine, ma era sempre riuscita a trovare un appiglio per risalire in superficie.
In preda a quei pensieri Lea si era appisolata sulla sdraio, complice una leggera brezza che smorzava l’afa serale. “Si è fatto tardi Lea, non vieni a dormire?” Dalla stanza una voce maschile la invitava a rientrare.
“Sì, arrivo”, farfugliò, scossa dal torpore del breve sonno. Quella notte l’isola le aveva parlato e Lea aveva ritrovato una parte di sé.
“Domani partirò, ma ti prego”, fu come se le chiedesse in una sorta di dialogo intimo. “Non dimenticarmi e, se puoi, veglia su di me”.
Le lucine intermittenti dell’isola sembravano rivolgerle un cenno di saluto. Lea rientrò in camera, ma sapeva che il suo sarebbe stato solo un arrivederci.
Di fronte a sé l’isola di Capri rifletteva l’immagine di una donna adagiata sul mare, le cui forme erano sottolineate dalle luci intermittenti delle case e dei locali alla moda. Avvolta dall’abbraccio della penisola sorrentina e delle isole di Ischia e Procida, da sempre veniva ammirata da viaggiatori e conterranei.
Appoggiata al terrazzino di una stanza d’albergo, Lea assaporava gli ultimi istanti della sua vacanza oramai al termine; erano state settimane rigeneranti, in cui aveva fatto scorta di affetti, di buon cibo e soprattutto di ossigeno, come definiva lo spirito della città che l’aveva cresciuta. Ogni anno vi faceva ritorno, potendo respirare l’aria mite, ma soprattutto l’ospitalità della gente. Era partita anni prima per realizzare il suo sogno, ma le radici la tenevano ben ancorata alla propria terra, che le mancava ovunque andasse.
Scrutando l’orizzonte Lea non riusciva a staccare gli occhi dall’isola, il luogo dove aveva trascorso tanti momenti spensierati e d’improvviso fu pervasa da una nostalgia struggente. Si rivide bambina, quando si imbarcava sul traghetto da Napoli assieme ai propri genitori per trascorrere i fine settimana al sole e tuffarsi in quelle limpide acque, per poi tornare a casa abbronzata e felice.
All’improvviso si ritrovò adolescente, mentre in canotta e pantaloncini si recava a Capri con gli amici, gustando la sensazione di sentirsi diva con i capelli schiariti dai raggi solari e il colorito caramello sulla pelle, sperando magari di far breccia nel cuore di quel ragazzo troppo timido per dichiararsi in città.
Quanto le piaceva mischiarsi alla folla dei turisti sbarcati sulla spiaggia di Marina Grande, esplorando quel territorio scosceso in tutti gli anfratti. Trascorreva le giornate tra risate e giochi d’acqua, mentre il suo sguardo si perdeva guardando i Faraglioni. Le sembrò poi di sentire il sapore dei gelati alla frutta gustati in piazzetta, mentre i pensieri le rimbalzavano nella testa.
Erano trascorsi tanti anni, rifletté. Allora era ancora una ragazzina, ignara di cosa poteva riservarle il futuro.
D’un tratto sentì di assomigliare a quell’isola. Una parte del suo essere riluceva come le spiagge affollate d’agosto o le casette linde abbarbicate sulle rocce a precipizio; al contempo vi era in lei una parte sommersa, ombrosa, simile alle grotte di Capri, dove si diceva che spiriti dispettosi attendessero i turisti ignari.
Quante volte era andata a infrangersi contro gli scogli aguzzi e si era imbattuta in temibili creature sottomarine, ma era sempre riuscita a trovare un appiglio per risalire in superficie.
In preda a quei pensieri Lea si era appisolata sulla sdraio, complice una leggera brezza che smorzava l’afa serale. “Si è fatto tardi Lea, non vieni a dormire?” Dalla stanza una voce maschile la invitava a rientrare.
“Sì, arrivo”, farfugliò, scossa dal torpore del breve sonno. Quella notte l’isola le aveva parlato e Lea aveva ritrovato una parte di sé.
“Domani partirò, ma ti prego”, fu come se le chiedesse in una sorta di dialogo intimo. “Non dimenticarmi e, se puoi, veglia su di me”.
Le lucine intermittenti dell’isola sembravano rivolgerle un cenno di saluto. Lea rientrò in camera, ma sapeva che il suo sarebbe stato solo un arrivederci.
Paola Salzano

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