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Dopo tre giorni puzza (capitolo 1 - parte seconda)

(segue)
Era un vetusto edificio in muratura, a due piani, sormontato da un tetto ripido, interrotto qua e là da alcuni abbaini, abbastanza alto da offrire in pratica un terzo piano comodamente agibile. L'intonaco era scrostato in diversi punti, e tracce di umidità macchiavano i muri nelle facciate più esposte alle intemperie. Nonostante l'evidente abbandono, aveva comunque un aspetto solido e rassicurante, cosa che, aggiunta alla superstiziosa credenza di cui era oggetto, che ne aveva abbattuto il prezzo di vendita, ne avrebbe fatto un ottimo affare… se si fosse trovato qualcuno abbastanza temerario da decidere di andarci a vivere.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo un po' di intesa, un po' di incoraggiamento, e si avviarono verso la costruzione seguendo uno stretto viottolo alla luce della luna.
Giunti a destinazione, scivolarono in silenzio rasenti il muro, trattenendo quasi il respiro, e notando solo allora, per la prima volta, un altro particolare: quel misterioso atterraggio avveniva in perfetto silenzio. Neanche un sibilo, o uno di quei suoni fluttuanti che, nei film, accompagnano gli arrivi dei dischi volanti. O quei terribili mormorii di anime perdute nelle pellicole horror. E questo imponeva ai due di procedere in maniera altrettanto silenziosa, per non correre il rischio di essere scoperti… se dietro l'angolo ci fosse stato qualcuno, o qualcosa, che potesse scoprirli.
Finalmente, dato un profondo respiro, Raffaele si arrischiò a spiare oltre lo spigolo di muro, nel momento in cui un altro puntino luminoso superava il tetto dell'abitazione e scendeva verso terra. Questo consentì al ragazzo di individuare subito l'oggetto che giaceva nell'erba, a pochi metri dalla casa, in una zona d'ombra. Un affare dalla forma indefinibile, specie se visto ad un tenue chiarore bluastro per un secondo o due, e delle dimensioni, ad occhio e croce, di una cassa di birra.
- Atterrano nel prato - sussurrò alla ragazza. - Su un affare che è per terra.
- C'è qualcuno? - chiese lei.
- No, pare che non ci sia un'anima. Mi è sembrato… come se finissero in un recipiente. Quando arrivano sul coso che è a terra, scendono giù lentamente come se si infilassero nel collo di una bottiglia. Anche il loro chiarore cambia… poi si spegne.
- Guarda, ne arriva un altro!
Stavolta spiò anche lei. Entrambi seguirono con lo sguardo il tragitto del punto luminoso. Lo osservarono scendere, nella chiazza d'ombra creata dalla casa contro i raggi della luna, rallentare fino a circa mezzo metro dal suolo, scivolare oscillando a velocità ancora più ridotta verso il basso, e poi spegnersi, o finire nascosto da un corpo opaco (dall'erba, o da un recipiente?). Qualcosa brillò per un istante a pochi centimetri dal punto luminoso, dello stesso genere di luce, come se lo avesse riflettuto. Cos'era, uno specchio?
- Credo… che possiamo andare via - mormorò Elena a quel punto. Lo spettacolo cui stavano assistendo non era normale. Niente di mai visto, o sentito raccontare da qualcuno. Poteva veramente essere un contatto con civiltà aliene, se aveva origini non umane… e se, invece, era qualcosa prodotto dall'uomo, aveva visto abbastanza film anche lei per capire che, a maggior ragione, era meglio restarne alla larga.
La preoccupazione nella voce della sua ragazza ringalluzzì Raffaele. Era il momento di prendersi una rivincita. Non aveva gradito la mancanza di rispetto di Elena nei suoi confronti, poco prima, quando gli aveva rinfacciato di aver paura per la leggenda dei Vitali. Ed era abbastanza poco intelligente da non capire che, se ora era lei ad essere intimorita, un motivo doveva esserci.
E che doveva trattarsi di un buon motivo.
- Prima voglio dare un'occhiata da vicino - bisbigliò risoluto.
- Stai scherzando, vero?
Raffaele non stava scherzando, e lo dimostrò. Si staccò dal muro e prese ad avvicinarsi al misterioso oggetto che giaceva nell'erba.
- Raffaele! - lo richiamò lei, urlando quasi, preoccupata. Quel testone doveva sempre e per forza dimostrare qualcosa, e non capiva mai quando era il momento di lasciar perdere.
Il ragazzo continuò ad avanzare senza darle retta, ed era solo a due - tre metri di distanza dall'oggetto quando un'altra luce si affacciò oltre il tetto della casa e calò decisamente verso il suolo.
Stavolta vide meglio.
Si abbassò, piegando le ginocchia, restando prudenzialmente nella zona illuminata dalla luna, e distinse anche la forma dell'oggetto, al chiarore prodotto dal nuovo puntino appena arrivato.
Un esaltante sentimento di orgoglio, subito cancellato da un'orribile angoscia.
Dapprima, fu solo una vaga sensazione. Di un fruscio, pressoché impercettibile, dietro di lui. Poi, in un batter di ciglio, l'ombra di qualcosa che lo sovrastava, ricoprendo la sua. L'ombra di qualcuno, sopraggiunto alle sue spalle, rapido e silenzioso!
Con un tuffo al cuore, si rizzò di scatto e si girò, pronto a sferrare un pugno.
Elena urlò, terrorizzata.
Lui fece altrettanto.
- Elena!
- Raffaele… che ti prende?
- Come che mi prende… ti sembra il modo di venirmi alle spalle? Mi hai fatto prendere un colpo.
Respirò a fondo, per calmarsi, poi proseguì, indicando la "cosa" nell'erba: - Guarda… somiglia a quei moduli che abbiamo mandato sulla Luna e su Marte.
Lei eseguì, e studiò l'arnese che giaceva a terra a pochi passi da loro.
Somigliava vagamente ad un grosso ragno, poggiato su otto zampe metalliche infilzate nel prato. Una scatola grande quanto una stecca di sigarette, sulla quale era posizionato una specie di alambicco con il collo a spirale rivolto verso l'alto, all'interno di una parabola di vetro poggiata su un supporto a forma di imbuto rovesciato.
Non dovettero attendere molto prima che un altro di quei punti luminosi apparisse alle loro spalle e scendesse verso l'aggeggio che avevano davanti.
Con precisione incredibile, il puntino si infilò nel collo a spirale dell'alambicco, scese giù percorrendo la serpentina trasparente, e scomparve all'interno dell'imbuto.
Tutto qui.
Apparentemente, almeno.
Il ragnetto che si mosse a terra sotto l'aggeggio, oltre ad essere troppo piccolo e scuro per essere visto, non poteva certo rappresentare una presenza inconsueta, o minacciosa, in un fazzoletto di terreno incolto accanto ad una vecchia casa di campagna.
- Andiamo via, Raffaele - implorò lei. Stranamente, era proprio quella insignificante semplicità a spaventarla, ora. Quelle luci venivano da troppo lontano per andarsi ad infilare in un tubicino di vetro per nulla. Forse, da distanze siderali. Ma se anche fossero arrivate solo dalla città vicina la cosa non sarebbe stata meno preoccupante. Nonostante i prodigi della tecnologia moderna ai quali erano abituati, la precisione con cui quella specie di scintille andavano a centrare un bersaglio così piccolo aveva, secondo lei, poco di umano. O, comunque, poco di quella tecnologia ormai alla portata dell'uomo di strada. Come minimo, si stavano occupando di affari che non erano, e non dovevano essere, loro…
Raffaele tornò a rizzarsi con un sorriso rassicurante: - Coraggio, non mi sembra niente di pericoloso.
- Ma non sappiamo cos'è… e se fosse davvero qualcosa di extraterrestre…
Raffaele ridacchiò per minimizzare le sue paure (ma era pura ostentazione, neanche lui era del tutto tranquillo, nonostante i limiti delle sue capacità intellettive), e sollevò una mano per farle una carezza.
Lei sobbalzò e si ritrasse.
- Dai… adesso che c'è?
- Sul braccio… - balbettò lei - che cos'hai?
Raffaele guardò nella direzione indicata dai suoi occhi, e sulla manica del maglioncino chiaro che indossava vide un piccolo ragno, delle dimensioni di una monetina da cinque centesimi, che si stava arrampicando verso l’incavo del gomito.
Sorrise: - È solo un ragnetto.
Con le dita dell'altra mano gli diede una spinta e lo fece volare via.
Elena non si tranquillizzò. Al contrario: - Ne hai uno anche sull'altro braccio… no, sono due… no, ancora… ce ne sono altri!
Le piccole macchie scure in movimento sul maglione del ragazzo crebbero di numero in maniera sorprendente, sulle braccia, sullo stomaco, sulle spalle.
- Che schifo! Da dove vengono? - Raffaele prese a liberarsene a manate, disgustato.
Il grido di Elena lo fece sobbalzare di nuovo: - AAHHH! DIO MIO, STANNO SALENDO ANCHE ADDOSSO A MEEEE!
Come un ribollente liquido scuro sotto i loro piedi, una marea di piccoli ragni neri si stava propagando verso l’alto lungo i pantaloni del ragazzo, e le gambe della ragazza.
Urlando di raccapriccio, anche lei prese a dimenarsi e a spazzare via con le mani quegli animaletti schifosi, che venivano però prontamente rimpiazzati da altri. Avvertì un formicolio sulla pelle sotto il suo abitino ridotto, ed evitò di pensare a cosa fosse, badando unicamente a scacciare tutti quelli che risalivano sopra il suo vestito. Il brulichio nero sbucò dalla scollatura e le si arrampicò lungo il collo, sotto i capelli. Prese a piagnucolare, atterrita, mentre anche Raffaele cominciava a schiacciare quelli che si dimenavano sotto il suo mento, lungo la sua gola, sopra le sue orecchie...
- Maledizione! Ma quanti ce ne sono? - imprecò lui, mentre Elena continuava ad urlare e a singhiozzare.
Un sussulto, e si fermò, un istante.
Anche Elena smise un attimo di gridare e contorcersi.
Poi tornarono a tirare manate sui piccoli animaletti, apparentemente con maggior successo, ora: quelli che non venivano colpiti invertivano la rotta, e stavolta il brulichio si muoveva per abbandonare al più presto i loro corpi.
Dopo pochi secondi, Raffaele ed Elena si ritrovarono liberi da qualsiasi ragno. Per quello che avevano modo di vedere, perlomeno.
Lei scoppiò in un pianto liberatorio. Lui prese a pestare nell'erba, seguendo i ragni in fuga per schiacciarne il più possibile, bofonchiando incomprensibili imprecazioni. Infine si fermò, controllò a terra nei paraggi senza più riuscire a scorgere il minimo movimento, e tornò da lei.
- Tutto bene? - le chiese, stringendole le braccia.
Lei si liberò e gli tirò una sberla. - Imbecille! Te l'avevo detto di andare via. - E, stizzita, si incamminò verso la macchina, ignorando il nuovo puntino luminoso che arrivava e correva ad infilarsi nel tubicino ritorto.
- Elena, aspetta! - le corse dietro lui, massaggiandosi la guancia colpita dallo schiaffo. - Ragiona, che c'entrano quei ragni con quello che abbiamo scoperto? Magari erano spaventati pure loro, e ci hanno aggredito per questo… forse non ci stavano nemmeno aggredendo, volevano solo scappare via da quel coso…
- Pensala come vuoi. A me interessa solo che mi riporti a casa subito.
“A casa subito”? Ecco un modo stupido di concludere una serata stupida che non era stato lui a cominciare. Se se ne fossero restati in macchina a pomiciare come da programma non sarebbe successo niente di tutto questo, ed era stata lei a rincorrere quelle lucciole, lui ne avrebbe fatto volentieri a meno.
- No, aspetta - la implorò. Non era comunque il caso di ribattere con delle recriminazioni: meglio tenersi la colpa e trovare qualcosa di positivo in quello che gli era capitato. - Non possiamo tornare a casa e far finta che non sia successo nulla. Minimo, dovremmo avvisare la polizia, anche se ho un'idea migliore.
- Per questa sera ne hai avute abbastanza, di buone idee - osservò stizzita lei.
- Dai, Elena, ragiona: sai quanto può fruttarci una storia del genere se ci rivolgiamo ai giornali? Non c'è nessuno in giro, quindi la cosa… di qualsiasi cosa si tratti, non è stata ancora scoperta. Quei puntini, probabilmente, sono visibili solo da qui, perché è dove stanno atterrando, ed è facile che nessuno abbia finora notato niente. Non dobbiamo far altro che telefonare a qualche ficcanaso della stampa, o a qualche tv… faranno a gara a chi offre di più per accaparrarsi l'esclusiva. Sono soldoni, piccola!
La afferrò per le braccia, la costrinse a fermarsi, la guardò implorante.
Lei ci pensò su, e considerò che stavolta il suo boy-friend non aveva tutti i torti… e che tanto, ormai, quei ragnacci schifosi la passeggiata su di lei se l'erano già fatta.
- Va bene - consentì sbuffando. - Allora sbrighiamoci, prima che qualcun altro ci batta sul tempo.
Alzarono decisamente il passo, montarono in auto, e Raffaele partì facendo slittare le ruote posteriori.
Ma né la polizia né la stampa seppero nulla di quelle luci, e del modulo che le ingoiava.



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Opera scritta il 07/05/2015 - 06:05
Da Giuseppe Bauleo
Letta n.1294 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Il racconto prosegue in maniera piacevole e accattivante.Il sistema delle stelle ,almeno sul mio ipad,non funziona.Bravo.

Rosa Chiarini 07/05/2015 - 14:31

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