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PIAZZA GRANDE

Buongiorno, sono la Piazza. Piazza Grande, così mi chiamano gli uomini. Devo dire che, Piazza Grande, è un nome che mi sta molto bene; semplice, così come lo sono sempre stata io, e al tempo stesso importante. Sì, questo nome mi fa sentire importante, magari vi sembrerò un po' egocentrica, ma io sono il centro della città, il suo cuore pulsante; prima o poi tutte le persone con le loro molteplici attività passano di qui e io mi sento il centro dell'attenzione, il centro del mondo.
Voi forse non lo sapete, ma io sono molto vecchia e abito qui da sempre. Ora mi vedete con un aspetto giovanile, perché gli uomini ogni tanto mi rifanno il look, come si dice oggi; ma non sarebbe più semplice dire che mi hanno rinnovato? A proposito, proprio non capisco come mai, voi uomini, dobbiate americanizzare tutto con questi termini stranieri, quando avete l'Italiano che è una lingua così bella.
Dicevo che gli uomini ogni tanto mi rinnovano, ora ho un aspetto moderno, consono ai tempi correnti, ovvero: tanto cemento e tanto asfalto per fare posto alle automobili. Sinceramente io mi piacevo di più prima, col mio lastricato di pietre e belle aiuole che nella bella stagione si riempivano di colorati e profumati fiori; al centro una bella fontana contornata da panchine all'ombra di verdi tigli; ora la fontana senza le panchine e i tigli ha un aspetto un po' triste, ma bisognava fare posto alle auto.
Qui con me vive da sempre, almeno così mi pare di ricordare, la chiesa col suo sagrato porticato in cima a una breve scalinata e l'alto campanile con le campane che quando suonano la domenica mattina è un segno inequivocabile che è festa. Essa ha mantenuto il suo vecchio aspetto originario, mentre tutto intorno ora ci sono case e palazzi moderni. Prima tutto intorno c'era un bel portico, sotto ai quali si aprivano negozi e botteghe, ma quando ci fu la guerra le bombe distrussero tutto, si salvò solo la chiesa. Ah, che brutte cose fate vuoi uomini: siete così evoluti e intelligenti che mi domando come possiate essere capaci di compiere simili cattiverie!
Ecco lì, dove oggi c'è la banca, ai piedi di quel grosso palazzo, c'era la bottega del falegname; si chiamava Giuseppe. Ah, ricordo quel giorno che la Bice, l'ortolana che gli stava proprio difronte, col suo negozio, corse trafelata da lui: “Giuseppe, per favore, corri! Mi si è azzoppato il banco della frutta, una gamba si è rotta e non regge più!” Giuseppe mollò il suo lavoro e corse al negozio della Bice e intanto alcune mele erano rotolate fuori dalla porta. Il falegname valutò il da farsi e aggiustò meglio che poté la gamba del banco e poi disse: “Bice, bisogna che tu prenda in considerazione l'ipotesi di fare un nuovo banco, questo legno è troppo vecchio e troppo marcio. Se vuoi prendo le misure per farne uno nuovo.” La Bice commissionò il lavoro e intanto ringraziò Giuseppe del pronto intervento effettuato, con un bel cesto di frutta e verdura fresca.
Oltre la banca, dove oggi c'è un agenzia di lavoro interinale, c'era la bottega del ciabattino; lì dove c'è l'agenzia di assicurazioni per auto, c'era il negozio di Carlone, il macellaio, che era un piacere sentire quando pestava con l'accetta sul tagliere per separare i grossi pezzi di carne; e non poteva mancare la bottega del fornaio, dovevate sentire, la mattina, quando sfornava michette e francesini! Mi riempivo tutta dell'aroma del pane fresco! Di fronte alla chiesa, dove ora c'è il bar con quelle stupide macchinette che vi mangiano soldi a più non posso, una volta c'era la locanda e sopra c'erano delle stanze per dormire e fino a poco tempo fa c'è stata l'osteria della Jole che aveva anche la sala biliardo. Ah, come mi piaceva sentire il rumore sordo e secco delle palle del biliardo: poc! poc!, che si mischiava a quello delle carte che i vecchi tiravano violentemente sul tavolo, spesso bestemmiando e arrabbiandosi per avere giocato la carta sbagliata: “Ma dovevi tirare il Tre, cosa lo tieni in mano a fare!” “Ma cosa dici! Ma non lo vedi che lui ci ha in mano l'Asso?!” E si andava avanti così per ore, fino a che si faceva tardi e la Jole spediva a casa tutti. Che donna la Jole: energica, robusta, insomma una valchiria, ma sempre disponibile: “Jole un caffé, per piacere.” oppure: “Jole, una spuma.” “Jole un calice di rosso.” E la Jole correva e accontentava tutti.
La mia vita è sempre trascorsa tranquilla, ho il mio andirivieni di gente che va, gente che viene; una volta alla settimana ospito il mercato con le bancarelle e qualche volta qualche festa. Non mi è mai successo niente di eclatante, a differenza di altre Piazze; ho sentito dire di una Piazza dove una volta uomini crudeli avevano fatto scoppiare una bomba durante una manifestazione e ci furono diversi morti. Eccola là, la vostra cattiveria, proprio non riuscite a vivere in pace! Ci sono voluti molti anni per individuare il colpevole, ma alla fine è stato scovato. È stato... Nessuno! Nessuno ha messo una bomba! Nessuno ha spento per sempre il sole a decine di persone! È stato Nessuno.
Nel mio centro, come vi ho detto, c'è una bella fontana e quando c'erano le panchine intorno ad essa, c'era sempre gente che mi teneva compagnia. Durante il giorno c'erano mamme con le carrozzine coi loro bimbi; c'erano nonni che costruivano barchette di carta per i nipotini e questi le facevano navigare sull'acqua della fontana immaginandosi di essere il capitano Achab all'inseguimento del mito di Moby Dick, oppure di essere giovani Capitani Coraggiosi. La sera, invece, le panchine erano frequentate da coppiette di innamorati. Dovevate vederli, stavano lì per ore a parlarsi con gli occhi, fino a che faceva buio e le stelle si accendevano nel cielo. Allora io mi sforzavo di capire se brillassero di più i loro occhi o le stelle del firmamento. A proposito di innamorati: per un periodo di tempo sono stata frequentata da una coppia, Anna e Marco, che si amavano follemente. Una sera in un ristorante qui vicino, ad una cena di lavoro, Marco aveva vinto la riluttanza di Anna a concedergli un ballo; avevano ballato tesi come due stoccafissi, sapevano di piacersi, ma avevano paura. Paura di dichiararsi, di essere rifiutati, paura di tutto quello che stava per succedergli. All'uscita dal ristorante vennero qui a fare quattro passi e una volta giunti davanti alla fontana, Marco le chiese: “Vuoi essere la mia fidanzata?” Lei si sentì stordita, frastornata, si sentiva di volare alta nel cielo, non era nemmeno in grado di rispondergli, ma i suoi occhi magnetici, che avevano attratto Marco, dicevano di sì. Qualche sera dopo erano qui, mano nella mano, e davanti alla fontana scoccò il primo bacio, breve, intenso, passionale. I loro baci erano così calorosi che nelle giornate fredde d'inverno mi riscaldavo del loro amore; dove passavano loro la neve si scioglieva, essi portavano la primavera ovunque. Tornavano spesso su quelle panchine a giurarsi amore eterno e poi a casa di lei il loro amore raggiungeva il culmine massimo. Tempo dopo ci fu una nuova cena di lavoro e Anna disse a Marco che si sarebbe fatta trovare al ristorante, ma quando Marco arrivò, sulla sedia dove avrebbe dovuto esserci Anna, c'era solo la sciarpa di seta orientale che lui le aveva regalato. E capì. Capì che non l'avrebbe più rivista. Negli ultimi tempi era diventata inspiegabilmente fredda nei suoi confronti; ora c'era chi diceva che lei gli avesse tenuto nascosta una grave malattia e per questo fosse sparita, chi gli diceva che era matta, chi diceva di un tradimento, ma Marco non seppe mai il perché. La cercò e ricercò senza darsi pace e ogni sera tornava a sedersi sugli scalini del sagrato e fissava lontano, fissava il baratro della vita davanti offuscato dalle lacrime che gli gonfiavano gli occhi, fissava quel vuoto che fino a poco tempo prima era colmo di amore e di progetti e ora c'era il nulla assoluto. Stava lì, Marco, per ore e ore, fino a quando Battista, stanco di vederlo in quelle condizioni gli si avvicinava e lo mandava via: “Vai a casa, Marco, che quella non torna più, non era la donna per te, quella lì.” La verità non detta, la verità che Marco non seppe mai era che un loro collega di lavoro cattivo invidioso del loro amore, così come solo voi uomini sapete essere, aveva seminato il seme della zizzania tra loro e quel seme era germogliato e prosperato nella mente debole di lei.
Come dite? Chi è Battista? Ah già! Non vi ho parlato di Battista. Battista è il mio amico speciale, il mio ospite fisso. Quando gli innamorati se ne vanno e le panchine restano vuote e tutto è silenzio, Battista trasforma una di queste nel suo letto e lì ci passa la notte. Battista una casa c'è l'ha, appena fuori città, ma siccome è solo e soffre di manie persecutorie ha scelto la vita da barbone e sta tutto il tempo qui, o qui intorno, dove c'è sempre qualcuno. È quello che voi uomini chiamate comunemente: il matto del villaggio.
È una persona buona, innocua; il solo problema è che non ama lavarsi, ma ciò nonostante è ben voluto e rispettato da tutti. La Jole gli permetteva di usare il bagno dell'osteria e poi qualche volta si fermava a guardare i giocatori di carte, gli sarebbe piaciuto di sicuro fare qualche partita, ma gli avventori dell'osteria dopo un po' lo mandavano via. Allora lui usciva fuori e si sedeva su una panchina o sugli scalini del sagrato e guardava i bambini giocare con le barchette di carta. Fissava quei giochi innocenti come se anche lui vi stesse prendendo parte; chissà, forse immaginava di essere su una di quelle barchette alla volta di un mondo lontano e felice. Qualche donna gli portava un piatto di minestra o una coscia di pollo e qualcuno un bicchiere di vino rosso. Lui ringraziava e mangiava di gusto, lentamente, come volesse conservare più a lungo quelle prelibate pietanze. Ecco, cari uomini, questo vostro modo di comportarvi vi fa guadagnare punti, questo comportamento vi fa onore.
Poi i tempi cambiarono; uomini senza scrupoli causarono una crisi economica che ridusse in miseria tanta gente e qualcuno dopo il lavoro, perse anche la casa. Qualcuno non sapendo dove andare si fermò a dormire sulle panchine. Intanto da paesi lontani del sud arrivarono uomini di colore e genti diverse dai paesi dell'est. Bevevano e mangiavano e lasciavano sporco dappertutto; si ubriacavano e facevano schiamazzi. Campavano di elemosine e piccoli furti. Una notte, ragazzi balordi ubriachi e impasticcati, decisero di dare una lezione a quella povera gente, ma finirono col prendersela con Battista, solo perché era innocuo e più debole. Cominciarono a deriderlo e molestarlo, ma Battista non reagì e si avviò verso casa. I balordi lo seguirono di nascosto e una volta giunti a casa sua lo picchiarono vigliaccamente e poi diedero fuoco alla casa. Il povero Battista si salvò, per fortuna, con tante contusioni e qualche bruciatura. Ma da quella volta non fu più lo stesso.
La gente cominciò a lamentarsi e a fare pressioni sul sindaco che, proprio qui in Piazza, durante un comizio elettorale aveva promesso ordine e sicurezza. Allora il sindaco pensò bene di eliminare le panchine, luogo di pernottamento di gente sbandata, e vietò qualsiasi forma di bivaccamento, vietò anche di mangiare al sacco, cosi che a rimetterci furono anche quei pochi turisti che venivano in città e i fedeli in pellegrinaggio alla chiesa, pensando in questo modo di favorire i ristoranti. Ecco spiegato come mai non ci sono più le panchine. Voi uomini mi sembrate anche molto ingenui: da sempre uomini di politica vengono qui in Piazza a promettervi mari e monti, un futuro migliore e poi finiscono per fare i propri comodi e voi ogni volta ci cascate di nuovo, continuate a ripetere sempre gli stessi errori. Ingenui che siete!
Battista? Battista ve l'ho detto, dopo quella notte non fu più lo stesso, le sue manie persecutorie con quello che era accaduto si erano accentuate e fu necessario un ricovero in un istituto e qui non si è più visto. Poveretto.
Yaaaawnnn.... oh! Scusate lo sbadiglio, ma ve l'ho detto: sono molto vecchia e anche stanca e non mi sono accorta che, parlando parlando, il sole è tramontato dietro la collina e la luna fa capolino sui tetti delle case; tra poco si accenderanno mille stelle nel cielo e io starò qui sola soletta a rimirarle e chiamarle una per una. E speriamo che i soliti balordi ubriaconi questa notte non si facciano vivi.
Buonanotte, brava gente.


Muggiò Aprile 2015




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Opera scritta il 30/06/2015 - 20:11
Da Stefano Chiarato
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