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Una seconda possibilità

Ciao!


Sono Julia Collins e…sono morta. Si, insomma, morta propria nel senso che intendi tu. Non sono qui per prenderti in giro ma perché ho un tarlo nella testa…Si, si, è vero che essendo spirito non ho la testa ma è difficile per me abituarmi a non usare espressioni umane…Oh, ora sto divagando e non mi va, anche perché voglio che continui a leggere quello che ti sto dicendo. Dunque, tralasciando che sono morta e che stai parlando con uno spirito, sono qui per chiederti aiuto. Oh, è così difficile da spiegare che non so nemmeno da dove cominciare…Insomma, in poche parole, sono convinta che il giorno in cui sono morta mi potevo salvare! Qui tutti mi dicono che è il destino, che non potevo farci niente ma non ci credo, son convinta che una minima possibilità quel giorno ce l’avevo…Sono stata così insistente che le mie lamentele sono arrivate al Capo Supremo. Lui non si fa né vedere né sentire ma invia messaggi sottoforma di impulsi eterei e così un giorno mi ha detto: “Vuoi davvero rivivere quella giornata in cui sei morta? Ti farò ritornare sulla terra ma ad una condizione, stavolta non potrai decidere tu lo svolgersi degli avvenimenti perché se no riusciresti a salvarti, dovrà decidere per te qualcuno dall’esterno che non sa la tua storia. Ma bada bene, se morirai di nuovo questa volta sarà per sempre.” E così eccomi qui, hai voglia di darmi una mano? Se rispondi si, prosegui leggendo qui sotto, se rispondi no, puoi spegnere il PC.


Oh, grazie. Hai deciso di aiutarmi, bene. Allora si parte, si ritorna sulla terra…VIA!!!!!!!



Il trillo della sveglia sul mio comodino ha sempre avuto l’effetto di una bomba detonante sul mio cervello ma ieri sera ho dovuto puntarla per forza. Stamattina ho un importante esame all’Università e sebbene non ho studiato molto devo presentarmi per forza, pena la ripetizione dell’anno e le lamentele da parte dei miei genitori. Faccio una doccia veloce e una colazione leggera, l’ansia mi fa chiudere lo stomaco. L’esame è alle 8:30 e sono le 7, ho tutto il tempo per truccarmi e vestirmi come si deve. Non sono una bella ragazza ma cerco di fare del mio meglio per migliorarmi e così dopo un tocco di matita e un po’ di fard sono pronta per uscire di casa. Chiudo la porta ed entro in ascensore, mi giro per guardarmi allo specchio e mi accorgo che nella fretta ho preso la borsa nera che uso tutti i giorni. Indosso un completino blu, forse non è il massimo questa borsa, ci sarebbe stata meglio quella beige, senza dubbio. Ma cosa faccio, risalgo a casa a cambiarla?

Adesso tocca a te prendere una decisione. Se vuoi che che Julia ritorni in casa a cambiare la borsa, prosegui con il racconto qui sotto, altrimenti vai al paragrafo (A).


Si, mi conviene ritornare su. Entro in casa, esco dalla borsa il mio libretto universitario e lo infilo in quella beige. Velocemente riprendo l’ascensore e scendo nell’androne del condominio. Mi accorgo con rassegnazione che fuori ha iniziato a piovigginare, questa proprio non ci voleva, mi toccherà prendere la macchina e non il motorino. Oppure posso prendere il motorino e metto un impermeabile sopra, non dovrei bagnarmi più di tanto.


Sei d’accordo con Julia? Se vuoi prendere il motorino prosegui il racconto qui sotto se no vai al paragrafo (C).


Ho un vecchio motorino, è da tempo che mio padre mi dice di cambiare le gomme ma non ho trovato il tempo. Decido comunque di usarlo, di certo eviterò il traffico e il problema del parcheggio all’Università. Ingrano la marcia e parto a tutta birra. Supero una decina di macchine messe in fila al semaforo e mi metto in attesa che scatti il verde. Osservo quei poveri lavavetri che perseverano nel loro lavoro nonostante la pioggia, uno sembra quasi sorridermi mentre mi passa accanto. Improvvisamente scatta il verde, decido di infilarmi in una scorciatoia che conosco solo io. Dopo aver percorso una serie di stradine, decido di reimmettermi sulla via principale. Mentalmente ripasso la classificazione scientifica delle tartarughe marine (dominio, regno, sottoregno, eccetera, eccetera, fino ad arrivare all’ordine, sottordine, infraordine e superfamiglia!), una serie di nomi che sono uno scioglilingua, sicuramente mi impappinerò all’esame. Mentre rido fra me e me, all’improvviso vedo sbucare dal nulla un cane che attraversa la strada. Non faccio in tempo a frenare e do una sterzata a sinistra ma così facendo perdo il controllo del motorino. Sono attimi di panico misto a paura. Sbatto forte la testa a terra ma non è questo a provocarmi orrore, quanto l’ultima cosa che vedo nella mia vita terrena. Un enorme camion sulla corsia adiacente sta tentando di frenare e suona il clacson in modo assordante. Fortunatamente per me perdo i sensi un attimo prima dell’impatto.


(C) Decido di prendere la macchina. Scendo in garage ed esco la mia Twingo viola melanzana. Per strada c’è molta confusione ma riesco a destreggiarmi bene in mezzo al traffico e giungo ad un semaforo. Un lavavetri mi si para davanti. Mi fanno simpatia. Anche oggi che piove cercano qualcuno a cui lavare il vetro. Cerco nella borsa il mio portamonete ma non lo trovo, che stupida, mi sono dimenticata di prenderlo dalla borsa che ho lasciato a casa. Con una scrollata di spalle mi congedo dal lavavetri e proseguo la mia corsa verso l’Università. Mentalmente ripasso la classificazione scientifica delle tartarughe marine (dominio, regno, sottoregno, eccetera, eccetera, fino ad arrivare all’ordine, sottordine, infraordine e superfamiglia!), una serie di nomi che sono uno scioglilingua, sicuramente mi impappinerò all’esame. Come previsto arrivo in ritardo e non c’è posto per la macchina dentro la sede dell’Università, cerco un posto in una delle viuzze limitrofe e ne trovo uno a circa trecento metri in un quartiere non proprio raccomandabile. Faccio la strada di corsa a piedi ed entro nell’aula dove si stanno svolgendo gli esami. Sono molto agitata. Mi iscrivo nel foglio appeso alla porta. Dopo circa due ore tocca a me. Mi siedo davanti il professore, un uomo affascinante ma dall’aria stronza. “Allora, signorina Collins, cosa sa dirmi del Palinurus elephas?”. Panico. Cos’era? Vuoto totale. Dopo un paio di minuti di silenzio sento di nuovo la sua voce: “Signorina, non le piacciono i crostacei?”. Illuminazione, apriti Sesamo! “Si! Si! Ehm, volevo dire no, no, li detesto ma…il Palicurus elephas è…”. “Palinurus” corregge il professore. “Eh? Si certo, il Palinurus è l’aragosta mediterranea, appartenente all’ordine Decapoda che vive nei fondali del mar Mediterraneo e dell’oceano Atlantico orientale”. Dopo mezzora di esame ne esco distrutta e bocciata. Stavolta i miei genitori mi uccidono. Si avvicina a consolarmi Anthony Parker, un ragazzo brufoloso che non smette mai di corteggiarmi. “Non ti preoccupare, la prossima volta andrà meglio, posso prestarti i miei appunti se vuoi!”. Non li ho mai voluti gli appunti di Anthony, puzzano di formaggio. Purtroppo ha l’abitudine di sgranocchiare patatine fritte e non si lava mai le mani, anzi, quando lo vedo che si lecca le dita mi viene quasi da vomitare. “Posso invitarti almeno per il pranzo?”. Il mio sguardo deve averlo turbato, perché vedo che comincia a tremargli la palpebra sinistra.


Julia è a un bivio. Che cosa fare? Se desideri accettare l’invito di Anthony prosegui il racconto qui sotto, se decidi di rifiutare, vai al paragrafo (D).

“Ma si, in fondo, peggio di così non può andare oggi. Andiamo a mangiare”. Anthony emette un gridolino di piacere e ci avviamo nella panineria di fronte all’Univesità. Prendiamo entrambi un panino formato tre piani e scolante da tutte le parti. Dopo pranzo decidiamo di fare un giro per i negozi della via principale. Anthony continua a parlarmi ma io non l’ascolto nemmeno. Essendosi fatto buio decido di farmi accompagnare alla macchina ma appena imbocchiamo la viuzza ci si fa incontro un brutto ceffo con un coltellino in mano. “Dammi tutto quello che hai dentro la borsa! In fretta!”. E’ così vicino che riesco a sentire l’alito fetido. Non riesco a muovermi, allora il tizio prova a prendermi la borsa. “Aiuto! Aiuto!” inizia a gridare Anthony. Il balordo si abbassa e assesta un coltellata nel fianco di Anthony. A questo punto decido di scappare ma è troppo tardi, tutto si svolge in frazioni di secondo, non mi accorgo che la cinghia della mia borsetta è ancora in mano al tizio e il contraccolpo mi fa cadere rovinosamente a terra. “Mi dispiace, non posso lasciare testimoni in giro” sentenzia il balordo e affonda la sua lama sporca di sangue nel mio collo.


(D) “Ma come osi, credi di approfittarti di me solo perché sono distrutta, non ci penso neanche”. Prendo la mia borsa e corro via. Di fronte all’Università c’è una panineria e decido si strafogarmi di qualche amenità. Doppio cheeseburger con patatine annegate nella maionese. Decido di farmi una passeggiata nella via principale della città, uno sguardo alle vetrine e poi vado a prendere la macchina. Dopo due ore mi accorgo che sta quasi per imbrunire, è tempo di far ritorno a casa. Entro nella viuzza dove avevo parcheggiato la macchina stamattina e mi si fa incontro un brutto ceffo con un coltello in mano, cosa fare: correre? Gridare? Resto immobile. “Dammi tutto quello che hai dentro la borsa! In fretta!”. E’ così vicino che riesco a sentire l’alito fetido. Non riesco a muovermi, allora il tizio prova a prendermi la borsa, provo a fargli resistenza ma lui è più forte di me. “Venti dollari è tutto quello che hai! Sei più pezzente di me! Dammi il tuo anello o ti affetto come una porchetta.” L’anello che mi ha regalato mia nonna prima di morire. “No, ti prego. Questo no”. All’improvviso mi afferra il braccio. “Dammela brutta cagna o ti stacco il dito col coltello!”. Sento che mi incide la carne, capisco che fa sul serio e non riesco a trattenermi dall’urlare. “Zitta, zitta, stupida!”. Non riesco a fermarmi, ormai sono invasa dal terrore. All’improvviso sento una fitta lanciante al fianco sinistro. Urlo ancora più forte, stavolta anche per il dolore. Il balordo sembra fuori di sé e affonda il suo colpo letale nel mio collo. Sento il sangue che inonda la trachea, non riesco più a respirare, perdo i sensi e tutto intorno a me diventa buio. Per sempre.


(A) No, in fondo che importanza ha, quando mi siedo davanti al professore non avrò di certo la borsetta con me e poi non mi nota quasi nessuno. Giunta nell’androne del condominio mi accorgo che fuori ha iniziato a piovigginare, questa proprio non ci voleva, mi toccherà prendere la macchina e non il motorino. Oppure posso prendere il motorino e metto un impermeabile sopra, non dovrei bagnarmi più di tanto.


Sei d’accordo con Julia? Se vuoi prendere il motorino prosegui il racconto qui sotto se no vai al paragrafo (B).


Ho un vecchio motorino, è da tempo che mio padre mi dice di cambiare le gomme ma non ho trovato il tempo. Decido comunque di usarlo, di certo eviterò il traffico e il problema del parcheggio all’Università. Ingrano la marcia e parto a tutta birra. Supero una decina di macchine messe in fila al semaforo e mi metto in attesa che scatti il verde. Osservo quei poveri lavavetri che perseverano nel loro lavoro nonostante la pioggia, uno sembra quasi sorridermi mentre mi passa accanto. Improvvisamente scatta il verde, decido di infilarmi in una scorciatoia che conosco solo io. Dopo aver percorso una serie di stradine, decido di reimmettermi sulla via principale. Mentalmente ripasso la classificazione scientifica delle tartarughe marine (dominio, regno, sottoregno, eccetera, eccetera, fino ad arrivare all’ordine, sottordine, infraordine e superfamiglia!), una serie di nomi che sono uno scioglilingua, sicuramente mi impappinerò all’esame. Mentre rido fra me e me, all’improvviso vedo sbucare dal nulla un cane che attraversa la strada. Non faccio in tempo a frenare e do una sterzata a sinistra ma così facendo perdo il controllo del motorino. Sono attimi di panico misto a paura. Sbatto forte la testa a terra ma non è questo a provocarmi orrore, quanto l’ultima cosa che ho vedo nella mia vita terrena. Un enorme camion sulla corsia adiacente sta tentando di frenare e suona il clacson in modo assordante. Fortunatamente per me perdo i sensi un attimo prima dell’impatto.


(B) Decido di prendere la macchina. Scendo in garage ed esco la mia Twingo viola melanzana. Per strada c’è molta confusione ma riesco a destreggiarmi bene in mezzo al traffico e giungo ad un semaforo. Un lavavetri mi si para davanti. Mi fanno simpatia. Anche oggi che piove cercano qualcuno a cui lavare il vetro. Prendo dalla borsetta il mio portamonete e gli lascio un’abbondante mancia, e poi si sa, quando vogliamo che le cose ci vadano bene siamo di buon cuore con tutti quelli che incontriamo. Scatta il verde e parto a razzo verso l’Università. Mentalmente ripasso la classificazione scientifica delle tartarughe marine (dominio, regno, sottoregno, eccetera, eccetera, fino ad arrivare all’ordine, sottordine, infraordine e superfamiglia!), una serie di nomi che sono uno scioglilingua, sicuramente mi impappinerò all’esame. Come previsto arrivo in ritardo e non c’è posto per la macchina dentro la sede dell’Università, cerco un posto in una delle viuzze limitrofe e ne trovo uno a circa trecento metri in un quartiere non proprio raccomandabile. Faccio la strada di corsa a piedi ed entro nell’aula dove si stanno svolgendo gli esami. Sono molto agitata. Mi iscrivo nel foglio appeso alla porta. Dopo circa due ore tocca a me. Mi siedo davanti al professore, un uomo affascinante ma dall’aria stronza. “Allora, signorina Collins, cosa sa dirmi del Palinurus elephas?”. Panico. Cos’era? Vuoto totale. Dopo un paio di minuti di silenzio sento di nuovo la sua voce: “Signorina, non le piacciono i crostacei?”. Illuminazione, apriti Sesamo! “Si! Si! Ehm, volevo dire no, no, li detesto ma…il Palicurus elephas è…”. “Palinurus” corregge il professore. “Eh? Si certo, il Palinurus è l’aragosta mediterranea, appartenente all’ordine Decapoda che vive nei fondali del mar Mediterraneo e dell’oceano Atlantico orientale”. Dopo mezzora di esame ne esco distrutta e bocciata. Stavolta i miei genitori mi uccidono. Si avvicina a consolarmi Anthony Parker, un ragazzo brufoloso che non smette mai di corteggiarmi. “Non ti preoccupare, la prossima volta andrà meglio, posso prestarti i miei appunti se vuoi!”. Non li ho mai voluti gli appunti di Anthony, puzzano di formaggio. Purtroppo ha l’abitudine di sgranocchiare patatine fritte e non si lava mai le mani, anzi, quando lo vedo che si lecca le dita mi viene quasi da vomitare. “Posso invitarti almeno per il pranzo?”. Il mio sguardo deve averlo turbato, perché vedo che comincia a tremargli la palpebra sinistra.


Julia è a un bivio. Che cosa fare? Se desideri accettare l’invito di Anthony prosegui il racconto qui sotto, se decidi di rifiutare, vai al paragrafo (E).


“Ma si, in fondo, peggio di così non può andare oggi. Andiamo a mangiare”. Anthony emette un gridolino di piacere e ci avviamo nella panineria di fronte all’Univesità. Prendiamo entrambi un panino formato tre piani e scolante da tutte le parti. Dopo pranzo decidiamo di fare un giro per i negozi della via principale. Anthony continua a parlarmi ma io non l’ascolto nemmeno. Essendosi fatto buio decido di farmi accompagnare alla macchina ma appena imbocchiamo la viuzza ci si fa incontro un brutto ceffo con un coltellino in mano. “Dammi tutto quello che hai dentro la borsa! In fretta!”. E’ così vicino che riesco a sentire l’alito fetido. Non riesco a muovermi, allora il tizio prova a prendermi la borsa ma improvvisamente vedo dietro le spalle dell’uomo comparire il lavavetri di stamattina con un badile in mano. “Aiuto! Aiuto!” inizia a gridare Anthony. Il balordo si abbassa e assesta un coltellata nel fianco di Anthony mentre il colpo di badile che doveva colpire l’uomo va a vuoto. Il balordo si gira e accoltella a tradimento il lavavetri. A questo punto decido di scappare ma è troppo tardi, tutto si svolge in frazioni di secondo, non mi accorgo che la cinghia della mia borsetta è ancora in mano al tizio e il contraccolpo mi fa cadere rovinosamente a terra. “Mi dispiace, non posso lasciare testimoni in giro” sentenzia il balordo e affonda la sua lama sporca di sangue nel mio collo.


(E) “Ma come osi, credi di approfittarti di me solo perché sono distrutta, non ci penso neanche”. Prendo la mia borsa e corro via. Di fronte all’Università c’è una panineria e decido si strafogarmi di qualche amenità. Doppio cheeseburger con patatine annegate nella maionese. Decido di farmi una passeggiata nella via principale della città, uno sguardo alle vetrine e poi vado a prendere la macchina. Dopo due ore mi accorgo che sta quasi per imbrunire, è tempo di far ritorno a casa. Entro nella viuzza dove avevo parcheggiato la macchina stamattina e mi si fa incontro un brutto ceffo con un coltello in mano, cosa fare: correre? Gridare? Resto immobile. “Dammi tutto quello che hai dentro la borsa! In fretta!”. E’ così vicino che riesco a sentire l’alito fetido. Non riesco a muovermi, allora il tizio prova a prendermi la borsa ma improvvisamente vedo dietro le spalle dell’uomo comparire il lavavetri di stamattina che gli assesta un colpo di badile fra capo e collo. “Signorina, tutto bene?” “Credo, credo di si. Grazie, lei mi ha salvato la vita!” Il lavavetri indica l’uomo disteso a terra: “Questo è Freddie, vecchio ubriacone. Vada via, prima che arrivino i suoi amici”. Mi infilo in macchina e vado a casa. In macchina penso se domani mattina rivedrò il lavavetri ancora al semaforo. Improvvisamente si oscura lo schermo e compaiono i titoli di coda sotto la scritta Game Over.


“Antonioooo! E’ pronta la cena! Spegni quel computer e vieni a tavola!”. Nessuna risposta. La madre allora entra nella stanza e spegne il PC. “Sei sordo per caso? Sono dieci minuti che ti chiamo.” Mizzica, proprio in tempo pensa Antonio. Sono riuscito a completare il gioco in meno di un’ora, che figata quando lo racconterò ai miei amici domani mattina a scuola!




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Opera scritta il 23/01/2016 - 00:05
Da Seby Flavio Gulisano
Letta n.1262 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Raccontato mica male, non privo di una certa originlità, un gioco, certo, piacevole però. Complimenti dunque, un saluto

Luciano Bellesso 23/01/2016 - 14:11

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Gaetano Balsamo 23/01/2016 - 13:15

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