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L\\\'ipnagoga

Non dormivo ormai da un mese, o forse erano due? In ogni caso non avevo idea di che giorno fosse, tantomeno di che ore fossero, ma la luce che si faceva largo grigia quanto la bruma che attraversava, presagiva l'arrivo di un imprecisato mattino e dell'ennesima inutile alba.
Stufo dello scarso ed insoddisfacente sonno chimico avevo deciso, ormai allo stremo, che forse la soluzione migliore fosse che il mio cervello uccidesse il mio corpo o viceversa se preferite.
Ma c'era un problema,
non morivo.
Alcuni giorni prima ero inciampato nella bilancia accorgendomi con uno stupore presto tramutatosi in disinteresse che avevo perso 34 kili o giù di lì, ora lo specchio che avevo rotto con una testata un migliaio d'anni prima mi restituiva l'immagine di un naufrago denutrito in abiti casual decisamente troppo abbondanti, mi sfilai dolorosamente una canottiera più simile ad uno straccio trovato in un'officina che a qualcosa che fosse mai stato indossato.
Le scapole di un uomo alto unoenovantadue al massimo grado di denutrizione lo fanno assomigliare ad un mostro appollaiato sul tetto di una cattedrale gotica, sappiatelo cari sceneggiatori se volete girare un film di zombie o roba del genere.
La mia pelle aveva preso la consistenza del cuoio invecchiato al sole, una scura lucentezza che mi faceva pensare ad un rettile fuggito da una teca in un paese con un clima inadatto ai rettili.
Consapevole che stavo perdendo i jeans afferrai la cintura per stringerla in un gesto automatico ma avevo finito i buchi, Gesù si non avevo più buchi, scivolavano comunque verso le ginocchia ma non sentivo più freddo quindi tanto valeva toglierli, non ridete e non scandalizzatevi ne tantomeno compatitemi per i miei slip fuxia, c'è stato un tempo in cui ho amato i colori.
Calpestai incurante un tappeto di cocci ferendomi, ma da quanto erano lì?
Ah ok e' ciò che rimane di quell'orrendo tavolo tondo in cristallo che, festante l'anziana padrona di casa, mi aveva lasciato al centro della sala in stile tardi anni '70, un ambiente adatto solo ad un pubblico nichilista.
Aprii la porta finestra del balcone sopraffatto da un odore urbano ed acre fatto di ottomila vite inutili che popolavano, sopravvivendo ipocritamente, le vicinanze fatte di condomini dormitorio brutti quasi quanto me.
Stropicciai la barba lunga e setosa nella bruma che mi avvolgeva come uno spirito in una brughiera irlandese, con scarsa destrezza afferrai le sigarette con l'assoluta consapevolezza che gli slip fuxia fossero inadatti al trasporto delle MS pacco soft o rigido che fosse con accendino Zippo incluso.
La sigaretta s'accese svogliata, nonostante l'innaturale piega corrispondente alle mie chiappe e ai dannati spiritelli irlandesi che si contendevano il mio balcone ormai imbruttito da generazioni di piccioni e licheni asfittici.
Guardai di sotto desideroso di trovare un compromesso, un piccolo patto silenzioso tra me, il dannato sonno e l'alba, e fu allora che la sigaretta mi scivolo' sul lercio ballatoio, forse mi sporsi troppo, forse i miei piedi ossuti ormai avevano meno presa delle zampe di un rapace sul ghiaccio, fatto sta che caddi di sotto, senza un grido, senza neppure riuscire a prendere la sigaretta, diavolo ne avevo fumata solo metà.
Tre piani in volo sono tanti anche per un uomo alto unoenovantadue forse questo pensava il barelliere mentre mi copriva pietosamente con quel telo bianco lasciandomi fuori i piedi, caspita ma come una persona può ridursi ad una tale magrezza?? disse il brigadiere, ..certo un tossico... aggiunse l'appuntato, con un blocco mezzo accartocciato in mano e la biro in bocca. Finalmente ero morto pensai da un punto imprecisato dell'universo, finalmente dormivo per sempre.


Le mie palpebre si alzarono sferragliando rumorosamente alle quattro e cinquantasette minuti del ventidue marzo 2016, un piccione ticchettava sul vetro indeciso, quando incrocio' i miei occhi iniettati di sangue e fiammeggianti fuggi nel bigio cielo che precede l'alba, ....avevo sognato?? L'ennesima allucinazione mammamia...
L'aspetto positivo era che avevo dormito almeno un ora,
quello negativo era che ero ancora vivo.
Giocai a fare lo xilofono con le mie costole in rilievo come spesso mi capitava ormai ogni mattino, mi buttai addosso due stracci frettolosamente e scesi in strada camminavo fumando come una vecchia locomotiva, nemmeno m'accorsi che ero scalzo e senza pantaloni, nemmeno m'accorsi del trambusto di ambulanze e carabinieri dietro di me, chissà forse qualche tossico, fatto sta' che si, diciamocelo, ero decisamente troppo magro e troppo alto per quegli slip fuxia.




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Opera scritta il 17/05/2016 - 23:25
Da Gian Donetti
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