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STELLA

STELLA



Questo racconto è la rielaborazione di una storia vera,avvenuta nel periodo storico in cui incombe la seconda guerra mondiale. Una fase tragica, in cui i sentimenti personali e le storie d’amore non contavano e spesso finivano in tragedie. Ammirevoli quelle figure che nel buio del momento e al limite di ogni sopportazione riuscivano a reagire ed a lottare per la loro vita. Stella è una giovane ragazza che vive e lavora nella tenuta di campagna di un ricco signore. Fatica tutto il giorno senza mai lamentarsi e aiuta in quello che può sua madre, vedova da molto tempo. Incontra Sergio, il figlio del proprietario ed è subito amore, ma il sentimento nascente non sfugge all’ira del padre, che fa di tutto per allontanare i due. Invia allora suo figlio come volontario militare e in una operazione di guerra muore sul colpo. Stella, rimasta nel frattempo anche orfana,vive sentimenti di odio e di rancore, fin quanto la madre del suo amato, la invita ad andare a vivere e a lavorare in Argentina. Sarà una sorpresa per Stella, vedersi raggiungere da lei alla stazione, decisa ormai a lasciare il marito nella sua colpa e nella sua solitudine.


Aveva sedici anni e sembrava ancora una bambina. Si chiamava Stella, aveva il corpo acerbo, due grandi occhi azzurri che spiccavano nel volto dalla carnagione olivastra. I lunghi capelli neri, li teneva legati in un’unica treccia che le scivolava pesante sulla schiena. Malgrado fosse esile, possedeva una gran forza fisica che le permetteva di affrontare il faticoso lavoro che ogni giorno con la madre doveva affrontare nei campi del feudo della famiglia Lanciano. Il proprietario Carlo Lanciano era un uomo autoritario e accumulava la ricchezza che quelle terre davano con lo sfruttamento e la fatica dei suoi contadini. In quell’angolo di Sicilia, quel grande latifondo produceva vino, olio e anche grandi quantità di arance e limoni. Era la ricchezza di una famiglia che metteva sull’altro piatto della bilancia, la grande povertà dei suoi operai, che con le loro famiglie vivevano in freddi casolari ai margini della campagna.
Un giorno i grandi occhi di Stella si incontrarono con quelli di Sergio, figlio del proprietario ed erede di tutto, e fu amore. Un amore puro e vero, ma impossibile. Sergio studiava con impegno e sognava di diventare ingegnere, volontà che il padre, orgoglioso di lui, assecondava. Ma quell’amore che nasceva, metteva tutto e tutti in discussione ed entrambi vivevano in una dimensione di sogno in cui si rifugiavano. Costruivano un castello pieno di speranze e di attese, ma lontano dalla realtà.
Stella capiva che il loro amore non sarebbe andato avanti, poiché la differenza sociale era enorme e si confrontava mentalmente con Isabella, la signora Lanciano che, vestita sempre elegantemente, usciva con la vettura guidata dall’autista in divisa. Invece la sua schiena era spaccata dal lavoro che svolgeva sotto il sole cocente d’estate e nel turbine del vento e del freddo in inverno. Le sue piccole mani erano piene di calli e ferite e anche fra le quattro mura domestiche il lavoro non cessava. Si doveva pulire, cucinare, fare il pane, si doveva aver cura degli animali, che lei amava tantissimo. Quell’amore per Sergio la sconvolgeva, le dava gioia e paura, ma Sergio la rassicurava che doveva aver fiducia in lui e che tutto sarebbe andato bene.
Il padre seppe uccidere implacabilmente tutti i loro sogni, indignato per quel grande sbaglio che il figlio aveva commesso. Poteva accettare che Stella fosse un’avventura, ma non un amore importante e si accaniva contro di loro in tutti i modi possibili, ma finiva per venire a sapere che, malgrado i divieti e le imposizioni, i due si incontravano lo stesso. Divenne egoista, dispotico e crudele, coinvolgendo anche la moglie e accusandola di aver la colpa di tutto. Causava sofferenza a tutti, in una atmosfera di continua tensione e di rancore.
Guardava dalla finestra dello studio, la grande distesa pianeggiante di alberi di arance che già prossime alla maturazione, spiccavano con il colore arancione nel verde del fogliame o il colore giallo dove maturavano limoni e cedri.
Anche quell’annata per i raccolti sarebbe andata bene. Ma la guerra che incombeva non facilitava le cose e poi molta forza lavoro era già andata via per il richiamo alle armi.
La nazione si preparava alla guerra, voleva i giovani già in divisa e nella mente di Carlo Lanciano balenò una idea. Sarebbe partito volontario, suo figlio Sergio sarebbe andato ad eseguire gli ordini militari. Così lontano avrebbe dimenticato quella gattamorta, sarebbe diventato un uomo e poteva dimenticarsi di diventare ingegnere. La carriera militare era l’unica via di scampo. Stella l’avrebbe pagata però. Avrebbe cacciato sua madre che faceva la domestica in casa sua e lei avrebbe lavorato tanto da scoppiarle il cuore.
Convocò suo figlio e alla presenza di sua moglie, estremamente pallida e silenziosa, gli comunicò che doveva recarsi al più presto a Roma per iniziare la carriera militare che il Duce onorava di offrire e poteva in tal modo dare il suo contributo alla Patria. La sua manovra era chiara e Sergio in preda allo sconforto protestò con tutte le sue forze. Ma non poteva fare altro che soccombere e nel giro di due giorni sarebbe dovuto partire.
I due giovani si incontrarono in un angolo appartato della campagna, un rettangolo di terra in cui era stato impiantato un vigneto. Il viso di Sergio, dai lineamenti delicati, parlava da solo. Le raccontò l’accaduto e tra le lacrime parlarono a lungo, ma erano consapevoli che quel loro incontro era l’ultimo.
- Tornerò presto, vedrai – Diceva Sergio per confortarla, aggiustandole le ciocche di ricci neri, che sfuggivano ribelli dalla compostezza della treccia.
- No Sergio, so che non è così. Tuo padre non ci vuole vedere insieme e dal suo punto di vista lo capisco, io non sono che una contadina-
- Vedrai che le cose cambieranno – cercava di confortarla Sergio.
Stella scuoteva la testa, mentre le lacrime le scivolavano silenziose sul viso.
Poi infine si abbracciarono e quello fu un addio.
La vettura di famiglia, guidata dall’autista, partì sollevando un gran polverone per la strada sterrata. Sergio dal finestrino posteriore guardava la sua amata Stella divenire sempre più piccola e lontana, fino a scomparire.
Ma il dramma proseguì perché ebbero inizio le ritorsioni. La mamma di Stella venne licenziata e un giorno la ragazza, rientrando a casa dal lavoro, la trovò distesa a terra, in preda ad un attacco di cuore. L’unico medico che andava in giro a visitare i contadini, confermò la diagnosi di infarto e che c’era poco da sperare.
Giunse in visita la signora Lanciano, pallida col viso dispiaciuto.
Stella, dopo un certo stupore, la fece entrare nella stanza fredda del soggiorno, adiacente alla cucina. La signora si accomodò e disse:
- Stella mi dispiace – disse donna Isabella, togliendosi il cappello - Mi spiace per tutto-
- Lo so donna Isabella, voi non c’entrate, voi siete una donna buona. Mamma era sofferente da tempo, ma ora sta proprio male.-
La donna, infatti, giaceva sul letto priva di conoscenza. Sembrava già appartenere al mondo dei defunti. Poi Stella si fece forza e chiese:
- Avete notizie di Sergio?-
- Da una settimana, non ho notizie. So che lo hanno inviato in una missione segreta e che non può comunicare con nessuno.-
Stella si tenne il capo ingoiando la disperazione. Non poteva nemmeno scrivergli perché non sapeva farlo. Chiese a donna Isabella: - Vi prego, appena potete, fatemi sapere se sta bene.
- T darò sue notizie, stai tranquilla - assecondò Isabella, sorridendole dolcemente.
- Vi sarò riconoscente, signora.- concluse Stella
Donna Isabella, era intenerita guardando quel faccino smagrito in cui brillavano come fari i due grandi occhi azzurri e poi era l’amore di Sergio!-
- Sta tranquilla cara, andrà tutto bene – rispose. Poi si alzò e si congedò perché suo marito l’aspettava e poteva insospettirsi.
Dopo pochi giorni la mamma di Stella morì a la ragazza rimase da sola. Si avvicinava l’inverno e l’anno che arrivava avrebbe dovuto affrontarlo in quella casa vuota.
Quando le capitava di incontrare il signor Lanciano, riceveva occhiate piene di odio, ma era un odio ormai ricambiato. La ragazza in preda alla solitudine, allo sconforto e al dolore, nutriva rancore per quell’uomo che le aveva distrutto l’esistenza. Ma il dolore più grande doveva ancora giungere. Arrivò in un freddo mattino d’inverno con un telegramma, portato dal postino.
Si trattava di poche parole, le peggiori che potessero giungere. Sergio era morto, non ce l’aveva fatta, era stato colpito in un conflitto e non aveva avuto scampo.
Fu una perdita terribile, per la famiglia e per tutti quanti e giorni di cerimoniali funebri, seguirono all’arrivo della salma. Stella distrutta, andava spesso a mettere dei fiori sulla tomba, ma il buio aveva avvolto la sua anima e la rabbia che comprimeva dentro di sé, la faceva star cosi male da non riuscire più a lavorare. Ma l’odio la teneva in vita e le dava la spinta per proseguire i suoi giorni.
Stella non ne poteva più, non sopportava di vivere in quei luoghi dove era stata felice con Sergio, non sopportava quel lavoro e di stare fuori con lo scirocco afoso o col vento gelido, di incontrare il signor Lanciano, pronto sempre a disprezzarla, di tornare poi nella sua casa e trovarla vuota. Il suo unico conforto era donna Isabella, che malgrado la sofferenza, trovava una parola buona per lei.
La donna capiva che la ragazza era devastata da brutti sentimenti, ma non sapeva come aiutarla, forse in un’altra città, iniziando un altro lavoro si sarebbe ripresa. Si ricordò allora di una sua parente che tempo addietro era andata a vivere lontano, in Argentina e da qualche parte a casa doveva avere il suo indirizzo. Le avrebbe inviato un telegramma per sapere se poteva accogliere e far lavorare Stella nel suo ristorante. Passarono dei giorni, giorni in cui la pioggia sembrava che non finisse mai, poi finalmente il postino, che la donna aveva pagato per avere solo lei la risposta, portò il rettangolo ripiegato che giungeva dall’Argentina. Era una risposta positiva.
Fece convocare Stella in cappella, luogo più appartato dove difficilmente suo marito poteva giungere. La ragazza, con i grandi occhi smarriti entrò e, con il viso carico di ansia, si avvicinò. Si stringeva addosso un vecchio cappotto di sua madre per il freddo e nel fare quel gesto disse:
- Ditemi signora -
- Mia cara ragazza, vedo il tuo stato d’animo e penso che andare lontano sia per te l’unica soluzione possibile. In Argentina inizierai una nuova vita.
- Donna Isabella, perché fate questo per me ? -
- Perché voglio che tu viva. Qui c'è solo morte e poi questa guerra che si annuncia sarà una catastrofe per tutti.
- Io sto male, signora Isabella, penso sempre a vostro figlio e leggo negli occhi di vostro marito il disprezzo più grande. Però, perdonatemi se lo dico, anche io lo detesto.
Si abbracciarono come madre e figlia promettendosi di scriversi.
- Io non so leggere, né scrivere, ma imparerò -
- Si, mi raccomando! Sei intelligente e bella, vedrai che ce la farai.
- Grazie- rispose la giovane.


Non aveva con sé che una piccola valigetta di cartone. Era l’alba quando lasciò la sua piccola e fredda abitazione, ormai disabitata. Il vecchio cappotto la copriva da quel freddo e da quel vento gelido che da giorni soffiava implacabile.
Stella se ne andava e buttava via il rancore e la sua triste vita, nessuno avrebbe più calpestato la sua dignità. Avrebbe ricominciato, ma avrebbe conservato dentro di sé il ricordo di Sergio e del suo amore.
Stella camminava spedita perché temeva di far tardi e di arrivare in ritardo per prendere il treno che doveva portarla fino a Napoli, poi la nave l’avrebbe portata in Argentina. La biglietteria era vuota, L’unico presente era l’impiegato che tamburellava con le dita sul bancone.
Fu con grande sorpresa che si vide affiancata da Isabella Lanciano
- Donna Isabella che fate qui ?- domandò stupita
- Vengo con te cara, non riesco a rimanere qui nemmeno io, per un minuto di più. Non sopporto più mio marito. Non riesco a perdonarlo. E’ colpa sua se Sergio è morto. Voglio andar via, lavorerò anch’io e se tu vorrai, posso starti vicina e farti da mamma.
Si abbracciarono commosse e insieme si avviarono a prendere quel treno che le avrebbe portate lontano, avrebbero varcato l’oceano per arrivare in una terra sconosciuta, tra gente ignota che parlava una lingua differente che avrebbero dovuto imparare.


Davanti la finestra dello studio Carlo Lanciano guardava la lettera. Ne immaginava il contenuto e non aveva il coraggio di aprirla. Sapeva già che era andata via, che aveva perso anche lei. L’aveva vista, vestita più dimessamente con una piccola valigia mentre si faceva accompagnare con la vettura.
Guardò il paesaggio oltre la finestra che dava sull’aranceto, oltre il quale all’orizzonte il cielo si addensava di nubi. Forse avrebbe piovuto. Poi iniziò a leggere:


Mio caro Carlo, da tempo meditavo questo passo doloroso. Perdonami, ma non riesco più a vivere con te. Sei sempre stato chiuso, privo di slanci, autoritario, perché è così che ti hanno insegnato ad essere. Malgrado ti volessi bene, ho accettato in silenzio questo tuo modo di essere. Sono sempre stata zitta, in disparte e fedele, con la sola gioia che era nostro figlio.
Nostro figlio che viveva il suo primo amore, oltre ogni convenzione sociale, un amore grande e vero per una splendida ragazza di nobili sentimenti. Ma tu lo hai stroncato per le convenzioni sociali, non glielo hai fatto vivere, giusto o sbagliato che fosse, non lo hai permesso e hai mandato a morire Sergio. Ma io questo non te lo perdono, non riesco a sopportarlo e vado a vivere una vita nuova e diversa, anche se non sono più giovane, ma nemmeno tanto vecchia.
Non cercarmi, perché non verrò. Non ci sono altri uomini e non mi interessa un’altra storia, cerco solo pace.
Quanto a te, fai quello che vuoi della tua vita con il tuo Duce, in quella terra dove ti è piaciuto solo comandare e mai capire, dove hai lasciato i tuoi contadini a vivere come schiavi e in povertà.
Ti auguro buona fortuna. Isabella


Carlo rimase a guardare fuori, immobile e in silenzio, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Era da tempo che non piangeva e forse non l’avrebbe più fatto. Il rimorso gli dilatava l’anima e la solitudine invadeva la sua vita. Con gesti meticolosi e precisi ripiegò la lettera e la conservò nel cassetto. Chiuse la porta di legno massiccio dietro di sé per andare fuori, dove gli operai lavoravano già da tempo. Tutto sarebbe continuato come sempre, ma sapeva che non era più così.




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Opera scritta il 05/10/2018 - 12:07
Da Patrizia Lo Bue
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Commenti


Carmela ti ringrazio. In realtà non so che fine abbia fatto la giovane Stella. Si sa che fuggì dalle persecuzioni del padre del povero Sergio. Io ho voluto concludere con la speranza

Patrizia Lo Bue 12/10/2018 - 19:25

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Molto bella, e davvero porta allo rievocare un passato vero ...e spero che quella nave sia stata presa davvero dalle 2 donne.

Carmela Ferraro 11/10/2018 - 12:48

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Ti ringrazio molto

Patrizia Lo Bue 05/10/2018 - 22:19

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...è una bella storia, scritta bene...
brava!

Grazia Giuliani 05/10/2018 - 19:06

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Grazie Teresa

Patrizia Lo Bue 05/10/2018 - 16:24

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Una storia bella e ben raccontata.Complimenti.

Teresa Peluso 05/10/2018 - 16:01

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