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MORTE ALLE 10 parte I

Nonostante la forte pioggia Sue Davies era riuscita ad arrivare per prima in ufficio per preparare il tutto in vista della riunione delle 10.00.
Era una ragazza di 29 anni laureata in economia e commercio presso University of Utah due anni prima di venire assunta presso la società BISTROT srl di Salt Lake City per un apprendistato nel 2018.
Aveva dei capelli lunghi fino a metà schiena di color marrone chiaro. Indossava una camicia nera su elegantissimo completo nero abbinato col colore degli occhiali che nascondevano i suoi occhi color nocciola.
Posizione che senza nemmeno che se ne sia resa conto, si è trasformata in quella di segretaria personale del direttore Maximilian Ferr.
Nei due anni passati a ricoprire quella carica la giovane Sue ha più volte cercato di mostrare le sue idee innovative nel campo degli investimenti che avrebbero potuto aiutare la società a fare un passo in avanti nel tortuoso mondo degli affari. Ma le proposte venivano rimandate al mittente sotto forma di richieste di servizi come caffè alla scrivania e modifiche/annullamenti di appuntamenti nelle giornate.
Vedeva il suo talento sprecarsi giorni dopo giorno mentre versava il caffè decaffeinato e corretto con latte di soia che il sig. Ferr pretendeva di trovare bollente sulla sua scrivania, al suo arrivo in ufficio verso le 09.15.
Una volta entrata in ufficio Sue aveva percorso il corridoio che si dilungava tra le scrivanie dei colleghi dell’amministrazione e del marketing, fino ad arrivare alla scrivania di James McDowell, collega del reparto tecnico di origine irlandese, IT e manutentore dell’impiantistica informatica e delle apparecchiature di rete dell’ufficio. Aveva affiancato la sala riunioni dalle pareti in vetro che permettevano di vederci all’interno e aveva raggiunto infine il tavolo in truciolato chiaro con poltrona per ufficio in tessuto che le era stato dedicato. La sua sedia dava esattamente le spalle all’ufficio del direttore anch’esso con le pareti in vetro ma qui una serie di veneziane bianche di sbirciarne l’interno.
Poggiò sopra il tavolo la sua tracolla ricolma di documenti e fascicoli e si sfilò l’impermeabile completamente zuppo dalla pioggia che poggiò nel bagno per evitare che il suo sgocciolare causasse troppe pozze sul pavimento bianco liscio, dove le luci dei neon quasi sembravano specchiarcisi.
«Buongiorno Sue!»
Una voce la fece quasi saltare dallo spavento. Era la voce di Carmen Remetti. La signora delle pulizie che straordinariamente era stata chiamata per venire a pulire la sala riunioni e l’ufficio in vista dell’appuntamento delle 10.00.
«Mi hai fatto prendere un colpo Carmen.» Rispose garbatamente Sue che nel vedere le gocce di acqua depositate sul pavimento a causa del suo impermeabile non poté che provare un senso di vergogna.
«Mi spiace tanto. Non avevo modo di prendere l’ombrello e…»
«Non ti preoccupare tesoro. Sono solo due gocce.» Rispose lei garbatamente con un bel sorriso stampato sulle labbra. Uno di quelli che ti mette di buon umore di prima mattina nonostante la grigia giornata. «Piuttosto hai pensato a quello che ti ho detto due giorni fa?»
Sue era troppo presa a ricordare tutti i comandi impartitegli il giorno prima dal signor Ferr per andare indietro con la memoria in cerca di nuove informazioni.
«Perdonami Carmen ma non ricordo.» Rispose lei mentre si sventolava con la mano per una vampata di caldo improvvisa che l’aveva colpita. Si era sbottonata il primo bottone della camicia bianca nel tentativo di rinfrescarsi un po’.
«L’azienda dove lavora mio cugino a Minneapolis. Te ne avevo parlato due giorni fa perché mi avevi accennato della tua voglia di cambiare aria.»
Come un lampo le tornò in mente la conversazione davanti alla macchinetta degli snack in sala relax.
«Si, scusami. Oggi non ci sono con la testa. Ma per il momento non penso sia il caso di…»
«Lo so che non è il massimo. Ma stai sprecando la tua vita e il tuo talento qui dentro. Hai delle buone idee lo sanno tutti, ma non puoi passare tutta la vita a portare il caffè a quello stronzo.»
Forse anche come un segno di sfida Sue sbuffò e le rispose in tono quasi seccato.
«Allora perché non te ne vai tu? Fai le pulizie qui dentro da quasi dieci anni e lui ti tratta ancora come un’ameba. Dici sempre che è come lavorare in un eterno purgatorio per un peccato che non hai commesso. Perché non stracci il contratto e ti trovi un altro stabile a cui fare le pulizie?»
La donna per un breve istante non rispose. I suoi occhi si inumidirono e chinando la testa strinse lo spazzolone e riprese le sue faccende.
Passato l’attimo di adrenalina Sue si rese conto di averla fatta grossa. Sapeva che Carmen non poteva far saltare il contratto in quanto nella zona non vi era nessun’altra società disposta ad affidargli l’incarico. Inoltre, da circa due anni suo marito aveva avuto un problema cardiaco e aveva lasciato questo mondo abbandonandola ad una vita di sacrificio per riuscire a sopravvivere.
Si vociferava in ufficio che il sig. Ferr approfittando della situazione aveva accettato di non toccare il suo contratto in cambio di un servizio di pulizie anche a domicilio presso il suo appartamento in un attico nel centro della città.
Le due rimasero in rigoroso silenzio per altri dieci minuti nel frattempo svolgevano le mansioni della mattina.
Carmen passava per l’ennesima volta lo straccio col disinfettante sul tavolo in mogano scuro della sala riunioni stando attenta ad ogni minimo particolare e Sue preparava il necessario affinché la riunione avesse tutte le comodità del caso.
Un vassoio di biscotti. Bustine di zucchero bianco e di canna più il contenitore per il latte che avrebbe riempito poco prima dell’arrivo di tutti.
Una caraffa trasparente contente dell’acqua riempita in precedenza e dei bicchieri di vetro di forma rettangolare in verticale di fronte ad ognuna delle sei sedie ergonomiche in pelle con rivestimenti sulle gambe e le ruote in acciaio scintillante.
Non dovettero aspettare molto prima di udire il suono della porta automatica dell’ufficio aprirsi.
Sue si allungò per vedere dalle vetrate della sala chi fosse.
Era Jonathan Ross dell’ufficio commerciale. Tutto vestito in giacca e cravatta pronto per presenziare per l’appuntamento delle 10.00 come tutti i suoi colleghi di reparto e dell’amministrazione. Un ragazzo di circa 35 anni dalla folta capigliatura scura ma con un fisico lievemente sovrappeso. Indossava sempre i suoi occhiali sottili e lasciava sempre la camicia bianca col primo bottone dal collo sbottonato da cui si poteva vedere una spessa collana d’oro. Quando era nervoso aveva il vizio di fumare e mangiarsi la pelle intorno alle unghie e a giudicare dall’odore di tabacco quasi stagnante e dal colore del suo indice della mano destra si poteva intuire quanto fosse nervoso quella mattina. Scivolò davanti alle due donne e non le salutò nemmeno. Quasi si lanciò sulla sua sedia e accese il suo pc portatile dopo averlo sfilato dalla sua tracolla in pelle nera.
«Voci di corridoio dicono che potrebbe essere il suo ultimo giro di valzer.» Sussurrò Carmen che a quanto sembra pareva essersi riappacificata con Sue a sua insaputa.
«Ma che dici?» Rispose lei sempre garbatamente.
«A quanto pare l’affare con la società per la vendita in Europa è fallita e hanno scaricato la colpa su di lui. Stavolta potremmo giocarcelo davvero.»
«Non mi sembra il caso di scherzarci.»
«E chi scherza. Volevo solo farti notare quanta poco senso di gratitudine ci sia in questa azienda. Proprio lui che due mesi fa aveva portato a casa il contratto con la Microsoft per la distribuzione sul loro store era un Dio in terra. Ora…»
Non fece in tempo a finire la frase che si udì di nuovo il suono della porta automatica. Era arrivato James McDowell.
Un tipo abbastanza introverso ma molto educato e simpatico quando si trovava in compagnia. Sapeva scherzare con tutti ma anche essere serio all’occorrenza.
Aveva pochi capelli riccioli neri che contornavano la testa come una corona e che spesso era oggetto delle sue battute. Abbastanza alto ma con un fisico asciutto indossava quel giorno una camicia azzurrina con sopra un maglione smanicato color bianco e con dei pantaloni neri.
I due si incrociarono gli sguardi e Sue lo salutò con la mano. Il saluto fu subito ricambiato con cordialità. Il ragazzo si spinse oltre e sventolò la chiavetta del caffè per invitarla a berne uno insieme alla macchinetta.
Sue non ebbe il tempo di risponderle che si udì il suono della porta ancora una volta.
Entrarono le sorelle Britney e Sarah Downey. Entrambe impiegate nel reparto amministrativo.
Avevano due anni di distanza l’un l’altra ma a differenza di Sarah, Britney che in ogni occasione ricordava a tutti quanto i loro genitori fossero fan della cantante quando nacque, aveva richiesto una posizione in quel reparto ottenendola a differenza della sorella la quale domanda fu rimandata al mittente.
Erano sì sorelle ma la somiglianza non era così netta. Sarah era una ragazza dal fisico asciutto con gli occhi verdi e i lunghi capelli neri. La sorella invece aveva i capelli color castano chiaro e dagli occhi tendenti al marrone e a differenza della sorella era un po’ in carne.
Anch’essa però come il suo collega di reparto Ross si era fiondata alla scrivania senza proferir il minimo verbo.
Arrivarono poi i due ragazzi del reparto tecnico e help desk. Due ragazzi piuttosto giovani sui 25 uno e 26 anni l’altro. Erano due sagome. Occhiali con lenti a fondo di bottiglia e capelli e barba sempre in disordine che però per questa occasione e su ordine del direttore, questa volta si erano premuniti di sistemare.
I ragazzi del magazzino entrarono dalla porta. Timbrarono e sparirono di nuovo per raggiungere la loro postazione di lavoro dall’altra parte dello stabile.
Arrivarono poi il terzo collaboratore del reparto commerciale Matthew Penny e il responsabile del reparto
Chris Donovan. Entrambi in abito elegante e con un sorriso splendente sul volto.
L’ufficio del responsabile commerciale si trovava esattamente di fronte alla scrivania di Sue e al suo interno oltre al tavolo in mogano con rifiniture nere dedicato a supportare il maxischermo del responsabile, era stato inserito anche un piccolo tavolino color marrone chiaro per eventuali riunioni o ospiti. Fu lì che si posizionò Penny nell’attesa dell’appuntamento delle 10.
Tutti erano presenti in ufficio. I pc erano ufficialmente avviati e la giornata lavorativa poteva ufficialmente cominciare.
Sue stava facendo gli ultimi controlli quando gli apparve davanti McDowell che stringeva sotto il braccio due notebook nuovi di pacca.
«Ieri sono rimasto fino a tardi e te li ho configurati. Ti ho già inserito i programmi e l’agenda aggiornata con le modifiche che mi avete chiesto.»
Si trattava di due pc notebook da 15’’ della HP con cover metallica. Erano stati acquistati dal direttore per l’appuntamento delle 10.00 di oggi ed era stato chiesto a McDowell di configurarli.
«Grazie. Ma come facciamo a sapere qual è il mio?» Sue prese uno dei due pc e iniziò a muoversi sul touchpad cercando di avviarlo.
Il ragazzo si mise a ridere.
«Tranquilla.» Poggiò i laptop sulla scrivania e ne aprì uno. «Su quello del boss ho messo un triangolino azzurro vicino al touchpad. Mentre sul tuo ce n’è uno rosso.»
I pc erano davvero identici. Senza i ritagli colorati di carta chiunque si sarebbe confuso senza accenderli e in quel giorno non sarebbe stata la cosa migliore da fare.
La ragazza ricambio la risata del collega con un dolce sorriso quasi liberatorio. Si guardò l’orologio e con un forte sospiro allentò la tensione.
«Andiamo a prenderci un caffè? Offro io!»
«D’accordo accetto. Fammi solo aprire il programma sul pc del capo.»
Poggiò le dita sul touchpad e muovendo il cursore fino all’icona avviò il programma di posta elettronica.
Arrivati alla macchinetta i due si scambiarono delle chiacchiere informali sull’ultima serie tv di Netflix e sull’ultimo avvenimento sportivo perso da McDowell e dalla sua squadra quando finalmente la macchinetta emise il suono che la bevanda era pronta per essere estratta dallo sportello.
«Caffè con tanto zucchero giusto?»
«Sì esatto.»
«Ecc… Oddio scusami!»
Nel voltarsi il ragazzo aveva colpito le mani della collega e una grossa parte del caffè le aveva inondato le dita. Lo zucchero sciolto le aveva rese appiccicose tanto da costringerla a scappare in bagno a lavarsi in maniera forsennata con del sapone e dell’acqua calda.
Al suo rientro i due ci risero sopra e ne presero un altro.
Rimasero ancora pochi istanti a guardare alcuni contenuti social del telefono del ragazzo che lasciò il telefono sul tavolino prima di recarsi in bagno per lavarsi a sua volta le mani e poi ritornarono alle loro postazioni.


Dopo i ringraziamenti e i saluti McDowell sparì dietro i monitor che componevano la sua scrivania e iniziò a digitare sulla sua tastierina Bluetooth come un forsennato.
Dopo pochi minuti di calma la porta si aprì. Apparve il direttore e fondatore della società Maximilian Ferr che sfoggiava un elegantissimo giaccone nero che arrivava fin sotto le ginocchia. Una sciarpa nera e dei guanti in pelle firmati completavano il completo. Era un uomo di circa 64 anni con folti capelli bianchi sottili. Una barba piuttosto vistosa che contornava le labbra e le guance e delle sopracciglia in tinta ben curate.
Aveva un sorriso stampato sul volto mentre passava in mezzo alle scrivanie come un condottiero che passa in rassegna le truppe prima di una battaglia. Scambiando “Buongiorno!” e “Come va?” a tutti i presenti fino a quando non arrivò alla scrivania di Sue.
«Buongiorno. Novità?»
«Si, dunque ho già preparato tutto per l’appuntamento delle 10. Il suo caffè è sulla scrivania e il pc è stato configurato come aveva richiesto ieri pomeriggio. Ho già attivato il proiettore e posizionato le cartelline ai vari posti. Stuzzichini e acqua posizionati sul tavolo…»
«Va bene. Va bene. Può bastare.» Iniziò a spogliarsi mentre entrava nel suo ufficio dove gettò la giacca e il resto del guardaroba su un appendi abiti che da quanto barcollò sembrava stesse per cadere.
Si lanciò letteralmente sulla sua poltrona in pelle con poggia testa e si lasciò sprofondare dal comfort.
Prese una sorsata di caffè e subito si gettò a curiosare il suo nuovo gioiellino costatogli la bellezza di 975 $. Sue lo osservava smanettare con le dita in tutta velocità sul touchpad per far volare il puntatore da una parte all’altra dello schermo come fosse un bambino con un nuovo giocattolo.
Quando capì di essere soddisfatto si lasciò cadere con la schiena sulla poltrona e prese a contornare le labbra con le dita della mano più e più volte.
Tutto l’ufficio aveva notato questo suo vizio da quando aveva smesso di fumare. Si passava indice e pollice dalla cima dei baffi sotto il naso, fino al mento seguendo il percorso della peluria dei baffi. Lo faceva una decina di volte prima di riuscire a calmare il suo desiderio di nicotina.


Finalmente arrivarono le 10.00.
Britney Downey, Sarah Downey e Jonathan Ross si avviarono in sala riunioni passando dall’ingresso accanto alla porta automatica per l’accesso agli uffici. I due sempre più sorridenti Penny e Donovan arrivarono subito dopo e si accomodarono sulle poltrone. I posti erano tutti presi e a Sue toccò restare in piedi per lasciare il posto al boss che non si fece attendere.
Prima di iniziare la riunione Sue passò da tutti a versare dell’acqua. Non era tenuta a farlo ma le sembrava un gesto di carineria.
Si voltò e abbassò le tapparelle della stanza così da impedire a chi era rimasto fuori di capire quanto si stessero dicendo.
McDowell e i due ragazzi del reparto tecnico ne approfittarono per scambiare due chiacchiere in tranquillità mentre proseguivano con i loro lavori.


«Signori sarò breve.» Disse Ferr dopo aver collegato il computer al cavo HDMI che era stato installato sul tavolo e raggiungeva il proiettore appeso al soffitto. «Conoscete questa azienda?»
Alle sue spalle sul telo bianco apparve il marchio di un’azienda straniera rivale. Tre linee orizzontali ondulate di colore blu su sfondo bianco.
«La Poquero.» Rispose fieramente Donovan e ne aveva tutti i motivi.
In una gara di appalto durante lo scorso trimestre era riuscito a soffiargli l’appalto per un affare enorme che purtroppo però era poi sfumato, ma aveva creato un grosso vuoto nei conti della società rivale.
«Esattamente! Per chi non lo sapesse questa società due settimane fa ha dichiarato la bancarotta!»
La notizia lasciò di sasso i presenti tranne Donovan e Penny che continuavano a mantenere le loro espressioni beate fiutando l’aria di premio per aver contribuito al fallimento di una rivale grazie a delle ottime mosse sul mercato.
«Poveri. Erano così tanti dipendenti.» Pensò Sue ad alta voce beccandosi un’occhiata al veleno dal direttore.
«Per noi invece è stato un colpo straordinario. Abbiamo tolto di mezzo una grossa spina nel fianco per il nostro business e credo che sappiate tutti di chi sia il merito.»
I due dal volto sorridente stavano già iniziando a gongolare.
«Mio ovviamente!»
Quelle parole lasciarono i due di stucco e con la bocca spalancata ma non si azzardarono a mettere in discussione quanto appena sentito.
Ai restanti presenti alla riunione queste dichiarazioni non fecero né caldo né freddo.
«Inoltre, ho una grandissima novità che riguarderà però tutti voi, anche i non presenti a questa riunione. Una novità che sono certo vi resterà impressa.»
Sue osservava in silenzio quel suo decantare pensando a quale novità potesse mai esserci dopo quella sparata di autocompiacimento.
«Ci dica. Non ci tenga sulle spine.» Esclamò incuriosita Britney dalla sua poltrona.
Sul volto di Ferr si materializzò un sorrisino di compiacimento che aveva un che di diabolico.
«Ho incontrato nei giorni scorsi i nuovi proprietari che hanno rilevato la società Poquero. Si tratta di una compagnia internazionale proveniente dalla Russia e dopo due bicchieri di vino e un giro di vodka a testa, mi hanno formulato un’offerta e ho quindi deciso di vendere la società!»
La notizia rimbombò come un tonfo nel silenzio della sala riunioni. Tutti i presenti rimasero di stucco incapaci di proferir parola. Fu un attimo che sembrò durare una vita.
«M-Ma in che senso vendere?»
«Nel senso che mi hanno fatto un’offerta e ho deciso di accettare.» Rispose sempre con un velo di compiacimento stampato in volto.
Britney scattò in piedi e così anche la sorella Sarah.
«Mi scusi.» Si avvicinò Sue. «Che cosa comporterà questa vendita? Che ne sarà di noi?»
L’uomo riprese ad accarezzarsi i baffi con la mano segno inconfutabile del suo nervosismo crescente.
«Questa vendita comporterà grandi cambiamenti. In primis che finalmente potrò andare in pensione e per secondo non dovrò più occuparmi dei costi che tutti voi, compresi gli assenti che sono la fuori a perdere tempo e a gettare i miei soldi dalla finestra. In sostanza signore e signori, voi non siete più un mio problema. I russi hanno già richiesto di spostare la sede a Mosca e a meno che voi non amiate bere Vodka per scaldarvi, siete licenziati!»
Fu come un lampo in una tempesta estiva. Violento. Improvviso. Spaventoso.
Nessuno dei presenti sapeva cosa dire o cosa rispondere.
Restarono tutti immobili nel vedere Ferr afferrare il suo bicchiere d’acqua e scolarselo con gusto passandosi poi la lingua sui suoi baffi per togliere l’acqua rimasta.
«NON PUO’ FARLO SIGNORE!» Scattò in piedi Donovan.
«ALCUNI DI NOI HANNO FAMIGLIA NON POSSIAMO TOGLIERCI UNO STIPENDIO COSI’ DAL NULLA.» Sottolineò Penny.
Sarah sembrava sul punto di svenire. Sue gli si lanciò incontro e la fece sedere forzandola a bere un bicchiere di acqua. Cosa che subito dopo fece anche la sorella per lo stupore.




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Opera scritta il 14/04/2020 - 10:50
Da Edoardo Glorioso
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