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Joel guarda la TV

La bettola in cui vado con Joel è piena del fumo che ci investe già fuori della porta. È il posto migliore qui nei dintorni, il posto dove puoi mangiare vero nyama choma, dice lui. Nel piccolo ingresso arrangiato fuori, tra la porta e la strada, i soliti bevitori di birra; già otto bottiglie in due, gli occhi che si velano di lucido, il saluto sguaiato e la stretta di mano troppo vigorosa e troppo malferma. Convenevoli per trattenerci lì, farsi pagare il conto che resta, da ubriachi non ci si vergogna di niente ma il mattino dopo qualche barlume di coscienza deve rimanere, salutando appena fingendo di avere fretta. Di andare dove, poi, non si sa, la fretta non è di queste parti, qui c’è tempo anche per annoiarsi e tutto, proprio tutto, può essere rimandato. Il locale è buio, pareti nere, al soffitto di rete metallica due lampadine che illuminano solo due palmi più in là; tavoli unti del cibo di prima e sedie consumate altrettanto. Alcolici in guardina, una gabbia di sbarre di ferro fitte fitte, la porta chiusa con un lucchetto pesante. Alla finestrella tra le sbarre quello che deve essere il proprietario, l’unico che abbia accesso alla cassa, con lucchetto; prende i soldi, dà il resto, consegna bottiglie di alcool e birra. Al soffitto è anche appesa una gabbia con un altro lucchetto pesante, un televisore acceso sul canale di tutti i locali, sembra che ce ne sia soltanto uno. Preferirei stare fuori, gli occhi già mi bruciano, ma Joel non sente, incantato davanti alla gabbia.


Joel guarda la tv, un film di Bollywood, di quelli che drogano. Joel ce l’ha anche a casa la tv, cioè, ha il televisore per guardare i cd ma l’abbonamento costa e senza abbonamento non si vede niente. La coppia del tavolo a fianco parla e mangia, mangiano con le mani e discutono con le mani, le dita unte che parlano più delle loro bocche . Di parlare io con Joel non se ne parla, se anche non fosse ipnotizzato com’è dovremmo urlare come fanno quei due, tanto è alto il volume della tv. Dentro restiamo noi quattro, fuori il gruppo si è infoltito, signorine grasse che non entrano nelle sedie vi si sono infilate chissà come, fanno la loro parte, sguaiate e senza pudore anche loro. Le voci entrano e sovrastano Bollywood, anche Joel se ne accorge, ma è un attimo, un’occhiata da sotto il gomito e già non li sente più.


Joel guarda la tv, i due continuano a mangiare e parlare, assenti da tutto intorno; fuori il tono è sempre più altro, sul tavolo quasi non c’è posto per altre bottiglie. Il padrone controlla dalla finestra della sua guardiola e dà disposizioni, basta un cenno al ragazzo che serve ai tavoli, un cenno che è insieme un rimbrotto, che aspetti a portar via le bottiglie vuote, ed uno sprono, stai sveglio e guardati attorno. La bevono calda la birra, a temperatura ambiente, qui la sera fa anche freddo e in mancanza d’altro si può anche fare, ma sulla costa, dove il caldo è garantito a qualsiasi ora e basta l’odore della birra calda ad ubriacarti, non sono mai riuscito a capirlo. Ma fredda ce l’hanno e se ce l’hanno qualcuno che ha capito ci deve essere, gliene offrirei volentieri una per questo soccorso.


Joel guarda la tv e la tv guarda tutti, uno per uno, ma sembra che guardi sempre soltanto te. Da piccoli era più un mistero come la signorina degli annunci facesse a sapere dove ci eravamo nascosti, sotto il tavolo o dietro una tenda con un buco minuscolissimo, impossibile da vedere da così lontano, che come riuscisse a guardare negli occhi di ognuno nello stesso momento, ovvio che tutti gli altri baravano. Non è sicuramente a questo che ora pensa Joel, a Joel non importa niente di niente in questo momento, Joel è il solo che la signorina indiana di Bollywood sta guardando, persa com’è anche lei negli occhi di lui. Poco importa che lei cada nelle braccia di qualcun altro, Joel neanche lo vede e se lo vede non conta, quello fa parte di un film, mica Joel non sa distinguere fra realtà e finzione, ma lei no, lei ha guardato nei suoi occhi, non avrebbe potuto se non lo avesse visto. Poco importa se già scorrono i titoli di coda, il film è finito, gli attori salutano, anche lei saluta, saluta tutti gli altri tranne Joel, Joel è un’altra storia, lei Joel lo guarda ancora negli occhi come prima, e guarda ancora soltanto lui. Se ora entrasse da quella porta o affiorasse dalla nebbia di questo fumo, l’unico a non stupirsene sarebbe Joel, per quanto dovesse sembrargli un sogno per il desiderio che avrebbe che non lo fosse. Sospira Joel, anche lui come me ha gli occhi lucidi, a me è stato il fumo.


C’è uno strano silenzio dentro e fuori, è il silenzio della tv che spegne anche le nostre voci, improvvisamente troppo alte, sorpresi e imbarazzati per quel poco che basta a rendersi conto che stiamo tutti parlando a voce alta, e tendendo l’orecchio. Le signorine grasse fuori si aggiustano il reggipetto guardando nel solco, soppesando e dando un’occhiata padrona a destra e a sinistra, tanto per controllare che sia tutto a posto. Ballonzolano i seni come onde di un mare grosso un po’ agitato, abbondanti come le natiche, natiche magari un po’ imbarcate ma mai schiacciate dalla massa che vi si appoggia. Dentro il fumo si è fatto più fitto, il vento è cambiato e dalla brace appena fuori della porta che da’ sul retro lo sospinge dentro impregnato del grasso che cola sui carboni ardenti, sfrigola e risale. Ma oramai neanche gli occhi lo notano più, si sono assuefatti e distinguono benissimo le ombre che vi si muovono dentro. Il cuoco che ci taglia la carne al tavolo non riesce a tenerla in mano per quanto ancora scotta, l’ha appena tirata su dalla griglia. Il sapore non delude l’odore, Joel aveva ragione a scegliere questo locale. Restiamo in silenzio per il tempo che serve a consumare il pasto, come presi dal piacere di un sapore nuovo, o anche solamente raro, per trattenerlo, consapevoli di una eccezione, da un mese siamo stati vegetariani e lo saremo di sicuro per il prossimo. E c’è la tv, Joel aveva ragione a scegliere questo locale.


È già notte, il tramonto qui non dura niente, e di notte i piccoli bus diventano rari, bisogna sbrigarsi. Ma è luna piena, e fa una luce che quasi ti fa sperare che l’attesa sia lunga.




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Opera scritta il 19/06/2020 - 07:23
Da Jado Jadore
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