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UNA GITA INDIMENTICABILE

Elena si asciugò la visiera del casco e sbuffò: “Era meglio se ci fermavamo a Taggia e aspettavamo che finisse di piovere!”.
Da più di un’ora guidavo cercando di tenere dritta la moto su quella strada stretta, trasformata in un torrente, tra curve, deviazioni e grumi di case dai nomi più strani, ombrosi e chiusi come pensavo fosse il carattere delle persone che ci vivevano.
Doveva essere una gita indimenticabile: dalla città caotica, calda ed opprimente, alla lussureggiante e fresca Riviera, passando per il misterioso entroterra e gli antichi borghi delle streghe, yeah!
Un perfetto weekend andato a puttane, casomai.
A parte un breve sprazzo di sole sull’Aurelia, non aveva fatto altro che piovere.
Tempo di merda...
“Giusto!”, osservai, “Peccato che eravamo già fradici e dovevamo per forza arrivare a Valfronda entro sera, visto che avevamo già prenotato!”.
Elena incassò e non disse più nulla. Di tanto in tanto controllava se il cellulare prendeva, in mezzo a quel bosco fitto di castagni, che si inerpicava su per la valle Argentina, tra colline dense di ulivi contorti e pini marittimi dalle forme più bizzarre.
Temeva di restare a piedi sotto l’acqua. Ma, per fortuna, la lancetta del carburante mandava segnali rassicuranti e la moto saliva i tornanti fradici come un capretto al pascolo.
L’ennesimo tuono rimbombò sopra le chiome degli alberi e si perse nel fondovalle.
Meno male che a Valfronda non mancava molto.
Chiesi al motore l’ultimo sforzo e, pochi chilometri dopo, dalle nuvole basse spuntarono prima il campanile, poi una cerchia di case arroccate e, infine, tutto il piccolo borgo si aprì finalmente davanti a noi.
A prima vista non era che un paese come gli altri, che conservava intatta la struttura urbanistica medievale, in barba alle regole dell’architettura moderna.
Il solito luogo recluso, piantato su di un cocuzzolo, che nemmeno il progresso aveva addolcito, abitato da vecchi contadini sempre in lotta contro una campagna ostile, dove le sterpaglie crescevano meglio di qualunque tipo di ortaggio.
Eravamo arrivati, ma non avevo la minima idea di dove fosse quella cavolo di locanda.
In giro non c’era anima viva e di cartelli manco a parlarne.
Bel posto davvero!
Provai ad addentrarmi per un centinaio di metri tra quelle case aggrappate l’una all’altra e, puntuale, partì la prima imprecazione. Elena mi abbracciò: “Eddai!”, sorrise, “In fondo, questo posto non mi sembra proprio Manhattan!”.
“Questo lo vedo, e allora?”.
“E allora, significa che non ci vorrà poi molto a girarlo tutto finché non scoviamo l’insegna!”.
“Allora, speriamo di scovarla subito, questa benedetta insegna, prima che al sottoscritto spuntino le branchie…”.
Attraversammo il paese. Deserto.
Attorno, vecchie case di pietra con portali in ardesia, spesso unite tra loro da archi, ancora in piedi dopo guerre e terremoti.
Il muschio fioriva sui muri e i tetti grondavano di umidità.
L’edera copriva tutto creando crepe e screpolature dipinte di un verde anomalo.
Girovagammo per un buon quarto d’ora tra vicoli stretti e scivolosi, ancora lastricati con vecchi pietroni, frammentati su più livelli e collegati da scalinate impossibili, minuscoli varchi tra facciate grigie, butterate da secoli di intemperie e rigate di rossastro dalle colature di grondaie marcescenti, finché spensi finalmente la moto in una piccola piazza, davanti ad un’insegna malamente dipinta sul muro, sopra una porta di legno massiccio, che sicuramente doveva trovarsi lì sin dai tempi del Sacro Romano Impero.
“Locanda La Favorita”, c’era scritto.
L’umidità e gli anni ne avevano ingrigito la facciata, bisognosa di un’urgente manutenzione.
"Ma da dove diavolo hai tirato fuori questo posto?”, chiesi a Elena mentre scendevo dalla moto, facendo scricchiolare penosamente la colonna vertebrale.
In effetti, quello sembrava più un paese fantasma, battuto dal vento e dalla pioggia.
Un mondo di ieri, impenetrabile e riservato, che faceva salire dallo stomaco sensazioni poco piacevoli.
In strada non c’era nessuno e da nessuna abitazione si levavano quei brusii di civiltà a cui eravamo abituati. Parecchie imposte erano chiuse, quasi incollate, sigillate. Altre, invece, erano aperte ma apparivano buie, opache e tristi.
“Avevo il biglietto da visita in borsa. Sai che faccio la raccolta!”.
“E dove lo avresti preso? Prima di oggi, qui non ci siamo mai venuti….”.
“Boh, me lo avrà passato qualche mia collega….o pensi forse che si sia materializzato da solo nella mia borsa!?”.
Ero sfinito, zuppo di pioggia fin dentro il DNA. Ero incazzato come un leone a digiuno ed avevo urgente bisogno di sdraiarmi con addosso, possibilmente, qualcosa di asciutto e caldo.
L’idea di intavolare una discussione con Elena, a quell’ora, era allettante quanto mettere le palle in una trappola per orsi. Lasciai perdere il dilemma, con annesso sarcasmo, ed entrammo.
L’interno era vecchio e polveroso. Nell’aria aleggiava un sinistro odore di chiuso, mescolato a quello di fumo ed antico tabacco.
Accanto alla reception c’era un piccolo bar, che aveva visto certamente tempi migliori.
Vecchie bottiglie di Biancosarti, Amaro Cora e Punt e Mes facevano bella mostra sugli scaffali, mentre lo specchio dietro al bancone era opaco ed ingrigito da polvere e sporcizia di millenni.
Appiccicati al bancone, un paio di manifesti ingialliti mi fissavano. Pubblicizzavano cantanti che si erano esibiti nei paraggi più o meno nel periodo in cui finivo le medie.
Ottima scelta, non c’è che dire!
Ci accolse una vecchia signora, austera, leggermente ingobbita. Mi ricordo che io e Elena, di nascosto, ridemmo di lei mentre salivamo al piano superiore.
Mi ricordo che anche lei sorrideva quando ci mostrò la stanza.
“Per i documenti non c’è fretta….”, disse.
Poi, prima di andarsene, aggiunse: “Tra un’oretta si cena. Preparerò insalata di porcini freschi e carne alla brace!”.
Il menu era davvero allettante, soprattutto se annaffiato con dell’ottimo Rossese. In compenso i mobili della camera erano un’accozzaglia di stili così diversi da far credere che la proprietaria avesse recuperato l’arredamento svuotando tutte le cantine del paese.
In un angolo c’era pure un vecchio inginocchiatoio, proveniente da chissà dove.
“Ma da quanto tempo non si rinnovano, qui?”, pensai buttandomi sul letto.
Il letto era ancora uno di quelli alti, come una volta. “Manca solo il baldacchino!”, sogghignò Elena. Però era comodo e le lenzuola erano immacolate.
Anche il bagno sembrava uscito da una cartolina d’epoca. Era così piccolo che due persone faticavano a starci dentro. Però era pulitissimo.
Sistemai gli zaini e misi ad asciugare i guanti e le giacche a vento. Elena si rintanò sotto la doccia. Sentii l’acqua scrosciare sulle note di “Faith”.
Poi mi diede il cambio e, quando terminai, lei era già pronta.
Eravamo un po’in anticipo e allora disse: “Vado un attimo giù dalla signora per vedere se mi dà qualche dritta sui negozi tipici!”.
"Negozi tipici? In questo buco di paese?”.
“Massì, pensa che ho letto addirittura che le proprietarie delle botteghe servono i clienti vestite da streghe, ci pensi? E preparano per i turisti liquori di erbe che evocano chissà quali antiche pozioni.…”.
“Mamma mia, che roba….!”.
“E mi pare che, nel museo etnografico qui vicino, siano esposti persino gli antichi strumenti di tortura dell’Inquisizione….”.
Strane pozioni, strumenti di tortura…bah! Che andasse pure. Per quanto mi riguardava me ne sarei restato in camera a riposare ancora un po’. Il viaggio da Milano mi aveva sfiancato. Con quella cazzo di pioggia poi….
Sdraiato sul letto agguantai lo smartphone e, per non addormentarmi, smanettai un po’ su Google per vedere se saltava fuori qualcosa di davvero interessante su quelle quattro case sbilenche.
Solo pochi minuti, così tanto per tirare l’ora di cena.
“Allora…ecco qua…”.
www.turistainriviera.it: Sagra di Primavera nel piccolo paese di Valfronda, sono attesi molti visitatori.
“WOW! Molti visitatori? E quanti? Dieci? Dodici?”.
“Mavalà....vediamo cosa c’è dopo….!”.
www.corrieredelponente.it: Festa patronale a Valfronda. La processione in onore di S. Giusto attraversa il paese cosparso di fiori.
“Che notiziona! Davvero un peccato perdersi un evento del genere!”.
“Andiamo avanti che è meglio!”.
www.liguriatrekking.net: Passeggiata itinerante tra Triora e Valfronda alla scoperta delle strane incisioni corrose dal tempo sulle cortecce degli alberi e degli strani segni scolpiti all’entrata di grotte o anfratti. Scopri con noi le sacche di resistenza del mondo magico medievale e i nascondigli che ospitano ancora il mistero ed il sortilegio!
Sacche di resistenza, mondi medievali, non sapevo se ridere o piangere.
“Ma siamo nel 2020, cazzo!”, sbraitai, “Le streghe si trovano solo nei libri di fiabe o servono per fare paura ai bambini!”.
"Ho capito: sono le solite cazzate! Oltretutto, i brontolii del mio stomaco stanno salendo di intensità. Adesso spengo tutto e….aspetta, c’è ancora un altro link e… PORCA TROIA!!!”.
www.chilavisto.rai.it: puntata del 12/04/2009. Disperato appello dei familiari di Attilio Montursi, l’agente di commercio che manca da casa da ormai un anno. Doveva recarsi per lavoro a Valfronda, ma nessuno…
“Oh cazzo! Ma…. da quant’è che Elena è giù a parlare con la signora? Possibile che ci sia così tanto da dire su questo paese del tubo? Possibile che… cazzo…un altro!”.
www.chilavisto.rai.it: puntata del 7/02/2011. Ancora vane le ricerche di Ermanno Filippi, il pensionato di Bordighera che doveva raggiungere dei parenti ad una festa e di cui si sono perse le tracce nei pressi di Valfronda, nell’entroterra di…
“MERDA!”
“E adesso? Cosa faccio? Chiamo la Polizia? Si, certo, e cosa gli racconto? Che mia moglie è giù a parlare con l’albergatrice e non è ancora salita?”.
Calma, in fondo, poteva benissimo essere che Elena e la signora stessero tranquillamente ciarlando di pizzi, merletti e magari la signora stesse già registrando i documenti.
“I documenti? Quali documenti? Ma se non glieli abbiamo ancora….”.
“Tranquillo!”, pensai, “Vedrai che non sarà successo nulla!”.
Tranquillo, certo!”, diceva intanto una vocina dentro di me, “E i due link di prima non li hai visti? Si che li hai visti!”.
“Piantala con tutte queste seghe mentali!”.
"…le proprietarie delle botteghe servono i clienti vestite da streghe…”.
“Non farti suggestionare! Non c’è nulla di strano, non c’è nessun motivo per preoccuparsi. Questo non è che uno dei tanti paesi dimenticati, che la geografia ha tagliato fuori dalla modernità e tutto il resto sono solo storie strampalate, tenute a galla nella superstizione e in qualche bicchiere di troppo!”.
Era sicuramente così. Tra poco sarei sceso anch’io e avrei trovato Elena che chiacchierava beatamente con la vecchia signora.
Tutto il resto era solo pubblicità, inventata apposta per…..
…attirare…?
"…e dove lo avresti preso…prima di ora non ci siamo mai venuti…”.
“…cosa credi…? Che si sia material…”.
“MAPORCADIQUELLAPUTTANA!”.
Mi bloccai con un piede alzato in un’assurda posizione da fermo immagine televisivo, con il cuore che voleva saltarmi fuori dalla bocca.
Di colpo mi venne il pensiero che…forse….era meglio essere fuori da là prima che facesse veramente buio.
Così, un’illuminazione. E non tanto per l’atmosfera surreale e stantia di quella locanda, non tanto per quel sorriso strano dell’albergatrice, non tanto per l’aspetto tetro di quelle quattro case.
No, non per quello.
Via, via da là! E di corsa!
Indossai la prima cosa che mi capitò in mano e volai giù per le scale.
Una certa intuizione bussava insistentemente alla porta della mia coscienza ed imponeva una verifica che dovevo fare subito.
In una frazione di secondo mi trovai giù all’ingresso, davanti al minuscolo tavolo della reception.
Non c’era nessuno.
Guardai nella piccola sala ristorante. Buia.
Chiamai mia moglie. Gridai il suo nome, lo urlai. Silenzio.
“Ma dove cazzo sono finiti, tutti??”.
Dal vetro opaco della cucina spuntava una luce accesa.
“Ah bene! Allora qualcuno c’è ….”, dissi.
Arrivai volando e, appena impugnai la maniglia della porta, il buio calò su di me.
Mi risvegliai, non saprei dire quanto tempo dopo, seduto su questa vecchia sedia sgangherata.
Sono in una stanza. Modesta, umida, come ricavata in una cantina. Ho i polsi legati allo schienale e le caviglie incatenate a terra.
La testa mi scoppia e mi fa un male terribile. Sento finte lancinanti partire dalla base della nuca per poi salire, ad ondate calde e pulsanti, per l’intera circonferenza del cranio.
Tutto tace. Ma dove è andata a finire Elena?
"Vado un attimo giù dalla signora…".
Nella stanza sembra non esserci nessuno, a parte me. Improvvisamente, però, i miei neuroni fanno un rapido rewind e io penso a quello che avevo letto sullo smartphone.
E allora le lacrime prendono il largo perché finalmente capisco tutto. Mi giro piano e vedo quello che mi aspettavo di vedere e che non avrei mai voluto vedere.
Appesi al soffitto, incatenati, ci sono due scheletri, ormai coperti di muffa verdastra e ragnatele.
“Il signor Montursi ed il signor Filippi, immagino….”.
"Per i documenti non c’è fretta…”.
Vorrei aggiungere altro ma, oltre la porta alle mie spalle, Elena inizia a gridare.
Dio Onnipotente! Cosa le stanno facendo?
"Per cena preparerò insalata di porcini e…”.
Provo una rabbia immensa. Voglio distruggere la sedia e strappare la corda che mi stringe.
Tento disperatamente. I muscoli tesi, il dolore che martella nella testa. Sono rosso da scoppiare.
“E’ uno scherzo televisivo!”, penso, “Tra poco le pareti si apriranno, la troupe applaudirà e…”.
Un altro grido. Atroce. Disperato.
“Dio mio, ti prego, fa che così, fa che sia uno scherzo!”.
Poi il silenzio.
Spero, almeno, che si dimentichino di me.
Passano minuti interminabili, poi sento un rumore secco, fin troppo familiare.
Una chiave che gira nella serratura.
Sussulto.
Ora vengono a prendere anche me.
La porta si apre lentamente, cigolando sui cardini arrugginiti, e io mi domando se domani pioverà ancora.
Dietro di me, passi trascinati avanzano lentamente, accompagnati da un respiro roco, quasi un rantolo.
Sento il tintinnio di coltelli che vengono affilati e il mio ultimo pensiero è che, in fondo, non mi posso neanche lamentare.
Volevamo una gita indimenticabile e siamo stati accontentati.



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Opera scritta il 02/09/2020 - 12:40
Da Paolo Guastone
Letta n.667 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie Maria Luisa, ti confesso che ho preso spunto da un viaggio che feci tempo fa da quelle parti. Ovviamente finì diversamente...

Paolo Guastone 02/09/2020 - 14:43

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Complimenti, un fantastico racconto che coinvolge dall'inizio alla fine, ottima capacità descrittiva che accompagna il lettore in un salendo di suspense incredibile. Bravo!

Maria Luisa Bandiera 02/09/2020 - 14:34

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Grazie Mirko: sempre troppo buono!

Paolo Guastone 02/09/2020 - 14:10

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Grazie Anna Maria per il bel commento. Erano tre o quattro idee che avevo per la testa e che sono poi sfociate nel racconto. Sono contento ti sia piaciuto.

Paolo Guastone 02/09/2020 - 14:09

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Molto, molto bello. Racconto avvincente e scritto davvero bene. Complimenti

Mirko D. Mastro(Poeta) 02/09/2020 - 13:55

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Racconto scritto con grande capacità descrittiva, molto godibile e che termina con un crescendo di suspense. Complimenti

Anna Maria Foglia 02/09/2020 - 13:54

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