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A mia madre

A noi nutrimento è la notte
e del volo delle nottole
ne temiamo che la sottrazione dei pianeti
e della luna,
del possesso che ci arroghiamo
di questo vasto campo di stelle,
non temiamo le loro ali:
il nero rassomiglia al fondo
del pozzo, del barile, della tazzina
di caffè freddo.
L'hai affermato tu
una volta,
quella volta
ci hai detto animali
notturni e ho forse annuito
forse sorriso, forse ho tremato,
era buio, più buio ancora nel ricordo
e maggiormente buio a ripensare
alla lama da chirurgo dei tuoi occhi,
io alla notte allora come ora
chiedevo l'incanto della luna
tu alla luna ululavi oscura,
avrò presagito allora l'inflitto tormento
da quella pece di nubi giù in fondo
e magari l'avrai ignorato tu,
tu che dici sempre di sapere tutto
che delle foglie ti cuci cappelli,
e all'imbrunire fai mostra
di eliche di buccia di mela
Lo so, lo hai dimostrato:
l'insonnia non produce sogni
e abiti la notte perché ti resta solo quella,
gli anni tuttavia si ammassano
si accalcano, non rispettano la fila
l'attrito accresce all'accrescere del peso
e noi siamo sempre più simili
come la bordatura delle federe
e della tovaglia,
del sole e della luna
e sarà pure per questo che
di luce negata mi ritrovo a vivere
non sbaglio però se dico
che fuori dal buio che ci hai dipinto intorno
ci dovrà pure essere un prato di sole.



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Poesia scritta il 11/05/2020 - 15:38
Da Matih Bobek
Letta n.924 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Le immagini descrivono bene il tormento di un rapporto...molto bella!

Grazia Giuliani 13/05/2020 - 12:55

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