I lampioni le illuminano le spalle, tiene la testa appena inclinata in avanti; quando va di fretta assume una postura aerodinamica, come se volesse tagliare il vento con la fronte. Ha la sciarpa su, fin sotto gli occhi e con il viso avvolto, si riscalda con il proprio respiro per contrastare la brezza fredda che le si scaglia addosso.
Arriva all’ingresso del sottopasso che porta ai binari della stazione, dove c’è un piccolo parcheggio. In genere non ci posteggiano molte auto, perché in quello spazio di sera le persone hanno paura anche solo di passarci vicino, mentre di giorno l’attraversano velocemente se non c’è tempo di fare il giro lungo.
Come i molteplici piccoli e grandi ghetti di una città di media dimensione, quel parcheggio si popola di esseri strani e poco convenzionali. Prostitute e clienti automuniti, tossici con grossi cani che fanno spesa contrattando con commercianti di sostanze, senzatetto che bivaccano e bevono vino in cartone. È l’altro lato della comunità, puttane, strafatti, nevrotici, marginali e antisociali, che vivono con disinvoltura tra odore di sperma, sudore, puzza di cane bagnato, birra e folate di hashish con picchi dolciastri di roba bruciata. Una sorta di compagnia senza affetti diversi da quelli egoici, persone che si salutano, discutono o contrattano. Questa è la parte del mondo che tiene in equilibrio la parte sana, laboriosa educata e corretta della popolazione.
Mia ha lasciato casa a diciott’anni, troppe regole, troppi obblighi da far conciliare con quel ronzio insistente che le risuonava nel cervello.
Gli ultimi anni di scuola lo sentiva solo ogni tanto, quando la interrogava la professoressa di chimica, una volta con il bidello che non la voleva far uscire dall’istituto o, quando ha fatto mettere la mano tra le sue gambe ad un ragazzo di un’altra classe, l’aveva sfidata per gioco e per gioco si era semplicemente tolta una curiosità. Si è vergognata dopo, ma il ronzio, quella volta, è diventato un solletico mentale.
A casa, seduta a tavola con i suoi genitori il brusio ha cominciato a diventare insostenibile. Inizialmente le dava qualche tregua o al massimo era intermittente, bastava mangiare poco e rapidamente, alzarsi e staccarsi dal quel tavolo. Nell’ultimo periodo il ronzio era con lei al risveglio, l’infastidiva per alcune ore a scuola, poi tornava costante al civico 9, scala C.
Se questo stridere si fosse intromesso in un grande amore famigliare, non avrebbe deciso di andarsene con la stessa leggerezza. Convincere due genitori che non hanno mai superato il trauma di doversi occupare di un figlio, non è poi così difficile, basta dirgli che hanno fatto il meglio ma è arrivato il momento di crescere e camminare con le proprie gambe.
“Bene, penso sia un po’ affrettato, ma i figli sono autostoppisti e noi possiamo solo dare loro un passaggio”. Bravo in filosofia ha pensato Mia appena, un po’ incredula, ha capito che non avrebbe dovuto sfoggiare discorsi complessi per conquistare la sua autonomia. Quando ha visto sua madre fermarsi in piedi accanto al padre che dava il suo benestare, non riusciva a penetrare la sua espressione; se ne stava li impalata con le mani conserte appoggiate a lato del ventre come una Maddalena penitente, ma senza pentimento. La donna si è poi limitata a fare un paio di domande meramente organizzative, concludendo il suo intervento con una flebile domanda: “Se pensi di farcela?”. Somigliava molto alla postura che teneva in chiesa; quando Mia era ancora troppo piccola per restare in casa sola, doveva seguirla e imitare i suoi movimenti, per il resto era sufficiente tacere e sedersi, alzarsi e inginocchiarsi al momento giusto. Se la ricorda pregare litanie che non capiva, non tanto nelle parole ma nella sobria indifferenza con cui le pronunciava.
Facile, il ronzio è stato gestito mediamente bene, finite le comunicazioni di servizio a quelli che sono comunque stati i suoi tutori, ora era libera senza margine d’invasione. Libera di decidere, libera di non avere un progetto e scadenze. A vent’anni non scade nulla, tempo, fame, salute, passione. Non si programma tanto più in la di un mese.
Si è gestita come ha potuto per diversi anni, anche se ci sono stati intermezzi difficili, ha imparato che dimenticare e rimuovere possono diventare pulsanti ad accesso facile. La prima volta lo ha capito dopo una serie di birre, ha sentito il volto anestetizzato e ha messo insieme pochi semplici elementi: anestesia, dolore attenuato, alcool. Chi immaginava che ci voleva così poco per rilassarsi? Non aveva mai concepito con la fantasia che il torpore si potesse organizzare e aumentare progressivamente.
Ha avuto diversi lavori in questi anni e ha incontrato tanti uomini di buone speranze che gliene hanno vendute molte, ma mai gratuitamente. Tra strada e alloggi precari, ospite di conoscenti, in camere in affitto o a casa della zia quando le apriva la porta, Mia ha dovuto pagare tanto, anche se bollette e mutui non erano il suo tarlo quotidiano, ha sborsato più di ciò che possedeva, ha dovuto dare in prestito a fondo perduto parti di sé che non le verranno mai restituite.
In alcuni particolari momenti Mia si mette a letto e fa un resoconto della sua vita e questa cosa fa riemerge quel ronzio, allora si alza dal letto, o dal divano in cui si trova e prende il cutter che si era comprata anni prima, per il laboratorio a scuola. Non si sente pazza e non ha intenzione di deturparsi le braccia, a lei bastano un paio di tagli, abbastanza superficiali da non sporcare, abbastanza nascosti da non doverne parlare con nessuno. La testa si spurga della rabbia e tutto diventa controllabile, dopo è solo questione di trovare qualche grammo di roba per chiudere definitivamente la questione.
Ora che si trova dall’altra parte in compagnia dei reietti, Mia ha perso nell’oblio i ricordi di quel lato del mondo che da bambina le veniva concesso di abitare. Le sono rimasti pochi vaghi flash e a nessuno riesce a restituire il proprio contesto.
Ora però riconosce a distanza di un isolato se stai cercano coca o roba. Capisce quando lo spacciatore è in buona da farle credito o quando deve dare del suo per un paio di palline.
Mia un giorno ha deciso che il corpo è solo un contenitore e come tale può usarlo come meglio crede, perché è l’essenza che ha la priorità sulla cura. In fondo quando vedi la roba che si scalda sul cucchiaio, lo sballo è praticamente iniziato e quando finalmente arrivi alla vena, gli odori, i sapori e le mani che ti hanno toccato svaniscono con il sangue che tiri prima di lanciare la bomba.
Poveretti i cocainomani che si sbattono come pazzi per venti minuti di godimento, come puoi fare un confronto con la durata della roba; eroina è il nome giusto, lei si che arriva e ti salva.
L’altro lato del mondo Mia l’ha scoperto grazie a un cliente o meglio un benefattore, perché lei non si prostituisce, se ha bisogno raccoglie soldi e in quel momento ne doveva raccogliere. Era la prima volta che andava in quel punto della città ed era la prima astinenza che provava, aveva ansia e fretta di finire, ha terminato la birra che si era potata e ha chiesto al suo accompagnatore cosa voleva, in fondo non aveva poi tutta la sera, anzi a pelle le rimaneva un’ora di resistenza.
Aveva già avuto a che fare con altri benefattori ma questo è stato il primo che non le ha dato il tempo di finire la domanda, le ha afferrato la testa tenendola per i capelli facendola inginocchiare di forza, nel mentre si slaccia i pantaloni e calandosi rapidamente le mutande le preme con forza la faccia tra le sue gambe, urlandole di cominciare.
Mia ha pensato “..che cafone bastardo..”, se non fosse per lo schifo che le faceva lo avrebbe evirato a morsi, ma dentro di sé ha poi calcolato che il più era fatto, ora doveva solo concludere e riscuotere.
Ma lui non ha concluso come in genere facevano gli altri, la stacca dal suo membro poi la solleva da terra tenendola per il collo, la butta di pancia contro il muretto basso, le ha calato i pantaloni e ha continuato in una serie di pratiche che fino ad allora Mia non aveva ancora dovuto affrontare. 20 euro. Fine.
Scalda, inietta, spinge, chiude gli occhi.
Finito lo sballo sono incominciati i dolori fisici, questo non l’aveva calcolato; non aveva considerato che alcune sofferenze sono più complesse da scrostare dal cervello. Aveva bisogno di altra roba di uno sballo più lungo, così si è bevuta altre due birre, ha vomitato, ha sniffato un po’ di roba conservata dalla pallina duramente guadagnata e si è addormentata.
È così che quel parcheggio è diventato uno dei suoi posti di ritrovo, la è morta e la è rinata. Cosa o chi è diventata non ha più importanza oggi. Il bello della vita di tutte le anime sottili che frequentano quel luogo, è che il domani non conta, c’è il qui ed ora e il minimo sforzo è l’unica richiesta accettabile.
Mia si sente di aver trovato lo stato extracomunitario, anzi extraterrestre che stava cercando, nessuna regola, nessun progetto, nessuno a cui dare risposte, nessun ronzio.

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In questo sito mi sto cimentando anch'io ma ho molta strada da fare....
Ancora complimenti alla prossima lettura Ciao.....






















qualcosa di tuo ed è stata una immersione in apnea. Racconto duro, da non risalire più. Non so giudicare la forma ma mi è piaciuto.
Passerò a leggere altre cose. Ciao Ele.





