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L A M A E S T R A

Aveva una carnagione diafana, il collo alto ed affusolato che tanto ricorda quello delle figure femminili dei ritratti dell’universalmente noto Modigliani; la schiena leggermente curva alla Greta Garbo dava alla figura un sapore particolare. L’aspetto da persona riservata, discreta, chiusa nel suo guscio, restia a manifestare le sue debolezze e le sue paure, ma nel contempo pronta a colmare il vuoto che le persone che facevano parte della sua vita lamentavano quasi a richiedere aiuto. L’animo sensibile non le consentiva di voltare le spalle a chi sembrava volesse piangere sulle sue spalle forti. Era sì taciturna, ma non era ‘vuota’. La sua ricchezza interiore e la sua vasta cultura venivano sprigionate nelle sue scritture quotidiane, nelle sue lunghe, particolareggiate epistole che chiudevano le sue lunghe, ma per nulla tediose, giornate. La sua dolcezza, i modi teneri, calorosi che, suo malgrado, la sua persona lasciava trasparire, comunicavano il suo ‘sentire’, la semplice purezza del suo cuore e della sua mente.


Faceva la maestra, Eliana, in una scuola privata. Amava i suoi bambini e li colmava di cure, di attenzione, di amore. “Non devono conoscere il dolore quelle piccole innocenti creature! Io mi prenderò cura di loro! Non permetterò a nessuno di far loro del male!” pensava ogni qualvolta le capitava di scorgere qualche lacrima scivolare furtiva lungo le guance anche se fuori dall’ambiente lavorativo. Era una passione la sua, una missione e come tale non era accettabile per lei tenere un atteggiamento amorevole e accorato in classe e un atteggiamento da persona insensibile fuori dalla scuola. I bambini, ‘i suoi pulcini’, come li chiamava lei, avevano imparato ad amarla, o meglio l’avevano amata da subito! Quei bambini avevano capito sin dal primo giorno che la loro maestra era tanto cara ed eccezionale!


I genitori avevano conosciuto la maestra attraverso il gran parlare che i piccoli facevano di lei! Avevano una luce negli occhi e un viso radioso quando raccontavano che ‘la maestra’ si era seduta per terra attorniata da loro, e aveva giocato con loro a…’ambracacicìcocò, tre civette sul comò che facevano l’amore con le figlie del dottore….’. Oppure che li prendeva in braccio quando avevano male al pancino e con la mano massaggiava lo massaggiava per far passare il dolore. O ancora che chiedeva loro di raccontare della loro giornata mostrando tanto interesse per ogni piccola loro iniziativa.
Qualche genitore, in verità, aveva avuto dei dissapori, degli scontri verbali con ‘quella maestra tanto ficcanaso’. Ma ben presto avevano dovuto ammettere che non erano intromissioni quelle della maestra dovute al tentativo di togliere ai familiari autorevolezza e di chiedere il rispetto dei loro figli. In verità aveva delle capacità di leggere e interpretare non solo gli atteggiamenti, i gesti esteriori, ma anche la loro interiorità, le ferite del loro cuoricino e dell’anima, che avevano, ma non riferivano a nessuno.


Sapeva come far sentire la sua vicinanza, il suo dolore per quelle ferite che altri avevano causato loro. Il suo abbraccio comunicava loro il bene che aveva per loro e l’indignazione che lei provava per la cattiveria di coloro che avevano osato essere tanto meschini e perfidi: “trattare così quelle creature innocenti e indifese!”


Ben conosceva, lei, il dolore lacerante dei torti subiti dai bambini! Per non parlare di quelli che si subiscono fino all’età adulta! Il suo pudore, la vergogna per l’atto insulso di cui era stata vittima l’avevano resa incapace di andare a denunciare agli organi competenti l’accaduto. Quella canaglia di vicino di casa dei suoi genitori! Ma la ferita più grande le era stata dai suoi genitori. Mortificata per quel che le era successo, impotente per il suo fisico esile e la forza poderosa di un energumeno di novanta chili e pugile per passare il tempo, si sentiva umiliata, sporca dentro e fuori. Aveva cercato aiuto nella sua famiglia, ma stranamente se l’era visto rifiutare: se quel giovane aveva osato la ragione poteva essere una sola, lei lo aveva illuso con le sue buone maniere, con le sue gentilezze, l’invito ad accomodarsi in casa a gustare il tè, che aveva appena preparato, con i deliziosi pasticcini della nonna. La sua migliore amica, che conosceva la sua abitudine di gustare il tè (that delicious flavoured English drink’ she used to taste while in Wimbledon) alle cinque del pomeriggio, glielo aveva portato da Londra dove si era recata per dei colloqui di lavoro.


Come avevano potuto dubitare di lei i suoi familiari, proprio di lei che non aveva mai dato loro motivo di vergognarsi del suo comportamento! Aveva sempre dato ascolto ai loro consigli, li aveva sempre rispettati, si era sempre vestita in maniera decorosa: aveva sempre indossato abiti accollati, sobri e senza trasparenze, piuttosto ampi e più lunghi di quelli dei coetanei! Per i compagni di scuola lei era la ‘collegiale’.


Niente al mondo avrebbe rimarginato quella ferita! Doveva andar via da casa, il più lontano possibile da quei pseudo genitori. Avrebbe trovato un lavoro onesto, possibilmente come tutrice di bambini o come baby sitter, o meglio come maestra. Sentiva che avrebbe potuto dare molto in quel settore, lei che aveva ormai sofferto sulla sua pelle molto di più di quanto una ragazza potesse sopportare:essere violentata due volte!.


La volontà, le capacità e la perseveranza oltre al coraggio l’avevano aiutata a farsi strada e a perseguire, con grande soddisfazione sua e gioia di quanti avevano la fortuna di percorrere il cammino con lei, tutti gli obiettivi che si era prefissa.




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Racconto scritto il 18/09/2013 - 18:35
Da Marianna Bonno
Letta n.1567 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


complimenti, un racconto,bello,decisamente perfetto,e' una facilita' espressiva uguale a quella de piu illustri scrittori.Credo tu abbia uno stile e una loquela espositiva inesauribile.BRAVA

Lucia Marolla 30/09/2013 - 23:02

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