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L'aquila

Ogni sera entro nella testa dell’aquila per usare i suo occhi, per guardare nel buio della notte diventando le penne, il rostro, la lingua, la gola, le ali , il corpo, la coda …l’animale stesso, che sfreccia nell’aria umida verso la luna e le stelle immote, alla ricerca di forme e colori che vedrò per la prima volta, alla ricerca di luoghi misconosciuti, isole, palazzi, villaggi, città , esseri nuovi, eterni uomini!
Ogni sera mi allontano dal mio corpo per acquisirne non uno astrale ma uno animale e in quanto tale vulnerabile, incerto, fatto di carne che fa male, di muscoli che si stancano, di stomaco che urla alla fame, di pelle che sente il freddo e il caldo, fatto di cuore che batte, accelerando o rallentando in ragione delle emozioni che vive e il tutto senza aver assunto droghe né alcoolici ma solo col tepore della coperta che mi avvolge come una navetta spaziale dalla quale trasmigro nel corpo volante: ogni sera una nuova paranoia!
Ogni sera ho bisogno di partire per allontanarmi da questo mondo sempre uguale, identico, immoto, , noioso, sintetico, finto, abitato da esseri stupidi che lo hanno reso invivibile, saturo di veleni, di sporco, di ipocrisia, di ignavia…e ogni sera un paesaggio nuovo come quello di stanotte: un lago calmo in cui si tuffa la luna che allungandosi lambisce la riva illuminandola con tinte fioche che cambiano i colori delle facciate e dei tetti che plumbei si confondono nel chiarore appena accennato della notte, fioca luce che rileva ombre di alberi spogli coi rami secchi e allungati come braccia verso il cielo nel tentativo di toccarmi , il campanile della chiesa madre con la luce verde smeraldo che il piccolo prete ha voluto in occasione delle festività natalizie e nella neonata speranza per il nuovo anno.
In lontananza le colline si stagliano nel chiarore dell’alba, sto inevitabilmente volando verso est, verso l’oriente da cui vedrò spuntare il sole, e da cui provengono tante anime in pena e in cerca di pace, uomini e donne che fuggono dalle guerre, dalla sofferenza, dalla morte…bambini che fuggono dalla morte!!! E vedo le ombre, le loro sagome che serpeggiano in lunghe file come acqua di fiume in un letto irregolare, vedo corpi sulle rive forse addormentati forse senza vita….bambini senza vita e vestiti come noi occidentali, già!…vedo immagini simili a quelle televisive di pantaloncini corti e magliette rosse, gialle verdi bianche, colorate perché i bambini devono vestire i colori, perché la vita è colore, anche ora che è ghermita dalla morte, colori che sono solo nella mia mente, mentre negli occhi dell’aquila sono immagini di varie sfumature di grigio, scure, con contorni indefiniti che rendono meno nitida la sofferenza , che trasformano la morte in un banchetto per animali notturni, lo scempio di un corpo, in nutrimento di pesci , cosa che l’aquila percepisce, capisce e accetta ma che la mia anima rifiuta, abiura e urlando la vorrebbe allontanare. Ma la sagoma è lì immobile in una pace trovata solo nell’accoglienza di angeli finalmente desti dal torpore in cui soggiacevano, gli stessi angeli distratti degli orfani seviziati, maltrattati, violentati in quella struttura marocchina e da quel mostro con parvenze di donna così simile a tanti occidentali per la ferocia umana, appena inferiore all’indignazione divina, di un dio troppo paziente, troppo rispettoso di uomini che non possono somigliargli e per i quali non ci saranno inferni pronti ad accoglierli perché già demoni di questo inferno che viviamo sulla terra!
L’aquila ne mangerebbe gli occhi e il cuore e la vendetta la porrebbe su una croce con un rogo pronto ferendola in mille punti ma l’uomo non può e non deve assomigliarle e allora deve contrarre la sua rabbia e sopportare la decadenza dell’anima sopprimere la voglia di rivalsa e soffocare dentro gli stridii astrali e ascoltare le urla dei bambini e distaccarsene per non perire, ma incapace di girare la testa dall’altro lato, soffre con pupille dilatate



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Opera scritta il 04/03/2016 - 19:08
Da Antonio Gabriele Barca
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