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Un terzo personaggio

Quando pensavo tu potessi fidanzarti, non mi faceva male questa nuvoletta di pensiero, perché sapevo che non ce l'avresti mai fatta: sapevo benissimo che non saresti mai stato in grado di dimenticarmi. Infatti questo era solo un pensiero. Quando mi dissero che ti eri fidanzato, subito dopo due settimane che ci eravamo lasciati, mi era crollato il mondo addosso. Avevo capito, purtroppo, che mi avevi facilmente dimenticata, come si dimenticano i vestiti sporchi sopra il comodino quando la mattina se ne indossano altri nuovi, puliti. La distanza ti aveva aiutato, ti aveva dato una mano, aggiungendoti un motivo in più per completare la tua vita senza di me, ti aveva confermato che potevi iniziare di nuovo tutto da capo perché io, ormai, facevo parte di un passato già buttato alle spalle.
Così avevo deciso di odiarti.
Ti avevo bloccato dappertutto, forse non te ne eri nemmeno accorto. Ogni volta che mi mancavi, ti sbloccavo, guardavo le tue ultime notizie, analizzavo le tue foto, davo un volto a quelli che facevano da sfondo alle tue pose e soffrivo un po'. Due volte al mese. Per due anni.
Avevo scaricato nel telefono tutte le canzoni che citavi sotto ad ogni tua foto e le avevo imparate tutte a memoria, cercando di trovare tra le righe di quelle rime, il discorso con il quale mi ricordavi, l'aggettivo con il quale descrivevi quelli che eravamo stati l'uno per l'altra, il suono dolce che faceva da sottofondo a tutte le nostre chiacchiere fino a notte fonda. Forse non lo facevi, ma mi piaceva pensarlo. Le avevo raccolte tutte in una playlist e le avevo dato il tuo nome. Poi l'avevo cancellato e le avevo dato come etichetta il soprannome con il quale ti chiamavo in mezzo alla folla, per vederti poi cercare il mio richiamo e sorridermi, per farmi capire che stavi arrivando. Poi anche quello l'avevo cancellato e avevo deciso di attribuirle un aggettivo che ti caratterizzasse: "complicato".
Eri rimasto scolpito nei miei pensieri, fisso nei miei collegamenti, disegnato nei miei bei ricordi e protagonista di tutti i miei bei sogni, ma te ne eri andato. Eri rimasto sì, ma te ne eri andato. Eri fatto così tu, non c'era nulla da fare: strano e pieno di contraddizioni. Non sapevo mai se prenderti sul serio o far passare tutti i tuoi discorsi dalla porta dello scherzo; anche se a volte rimanevano incastrati, io, continuando a mentire a me stessa, li spezzavo e li facevo entrare uno per volta. Ecco perché quando mi avevi detto che mi stavi per lasciare, non sapevo se prendere quel sacco di parole e farlo passare per quella porta, o girare l'angolo e metterlo nella stanza della verità, quella che non avevo mai aperto. Forse se avessi fatto questo passaggio, avrei potuto risparmiarmi almeno il dieci per cento di dolore che mi stava frantumando ogni cosa qua dentro. Ma no, per l'ennesima volta avevo confuso il tuo tono di voce e quando te ne eri andato veramente, mi ero data della scema per non aver capito subito che qualsiasi cosa tu abbia detto, era un insieme di sincere parole, discorsi veri basati su giorni e giorni di ragionamenti complessi.
Era stato difficile all'inizio abituarmi. Ecco perché, per due anni, avevo continuato a seguire la tua vita sui social, fino a che avevo capito che era solo male che facevo a me stessa. Era inutile continuare a tormentarmi con altro, se poi capivo sempre che, qualsiasi cosa io stessi facendo, era solo per allontanarmi dai tuoi ricordi quando invece erano quelli che scorrevano sempre davanti ai miei occhi.
Le tue canzoni, come punizione, venivano trasmesse alla radio tanto che non la ascoltavo quasi più, ero arrivata al punto di odiare pure chi le aveva scritte e cantate, perché sembrava avesse preso la nostra fine come ispirazione, divertendosi a trovare termini comuni che ci facessero tornare al punto dove tu avevi deciso di finirla e impegnandosi a suonarla seguendo il ritmo dei nostri battiti cardiaci che, da quel giorno, non sono più tornati a battere insieme la stessa melodia. I posti che taggavi nelle tue storie su Instagram non li visitavo, per paura di passare per quelle vie e trovare un tuo dettaglio dimenticato lì tra i piccoli sassi, che formavano la scia di una strada che non aveva più nessuna destinazione per me.
Guardavo quelle foto per ore intere, per cento volte al giorno che allora, riguardandole per un'ultima volta prima di eliminarle definitivamente, dopo due anni di sofferenza, non mi facevano più effetto, non mi facevano più sentire esclusa dalla parte di vita che ti stavi facendo tranquillamente. Mi facevano sentire scema nell'aver sprecato ogni singolo minuto a stalkerarti, rinunciando ad altre cose pur di riuscire a capire se nello sguardo che ti catturava la telecamera, riuscivo ancora a vedere quella lucina che si accendeva quando, raccontandoti qualcosa, mi guardavi divertito dritto negli occhi. In tutte quelle foto, quella lucina era ancora accesa nei tuoi occhi, ma non per me. Per altri, o forse solo per quella con la quale avevi deciso di cominciare una nuova storia su una bella pagina bianca pulita, strappando la mia e accartocciandola con entrambi le mani, per poi buttarla nel cestino e pienarlo con il resto dei sentimenti che avevi sprecato nei miei confronti. Non te ne eri accorto che strappando quella pagina, avevi lasciato alcuni pezzi di carta attaccati al lato, piccoli dettagli che guardandoli ogni volta, ti facevano ritornare, contro la tua volontà, ad un passato del quale te ne eri lavato le mani, dimenticando di fare passare l'acqua che il lavandino si era tenuto dentro. Ritornavi a pensarmi ma solo con dei collegamenti negativi, soltanto riprendendo un oggetto vecchio pieno di polvere buttato in garage, perché in fin dei conti è quello che sono stata io: le resta di una storia che non aveva avuto né inizio, né svolgimento, né conclusione. Per te. Per me invece era stata esemplare.
Se avessimo parlato dell'ultimo giorno che ci aveva unito, ci saremmo accusati a vicenda e tu avresti finito per verificare la mia ipotesi dicendomi che quello che avevi fatto non lo volevi nemmeno tu. Ma io non voglio sentirmi dire quello che voglio sentire. Voglio le cose così come stanno, voglio la verità, una sincera risposta alla domanda "perché?".
Per questo, per due anni, né io avevo percorso le tue strade né tu le mie. Vivevamo vicini ma pur essendo così vicini, eravamo terribilmente così lontani, tanto che la distanza non si misurava più in chilometri ma in ricordi, sensazioni e rimpianti. Erano tanti ma eravamo comunque vicini.
E tormentandomi con queste idee, ho passato altri quattro anni, senza cercarti, senza stalkerarti e, difficilmente, senza pensarti. Avevo ricominciato a vivere dopo che i miei respiri si fermavano in tutti gli angoli a pensarti, a cercarti e a paragonarti a chi avevo davanti trovando quasi sempre un altro motivo per ricordarti.
Non sapevo spiegarmi il motivo di questa separazione nonostante fosse passato tutto questo tempo, mi sembrava tutto così surreale, non riuscivo a capire perché quando avevi preso la tua decisione, un po' non ne eri sicuro nemmeno tu. La notte andavo a dormire con la speranza di poterti trovare il giorno dopo sotto casa, a dirmi che avevi sbagliato a fare quello che hai fatto, a suonarmi con la chitarra quel pezzo fantastico che avevi fatto apposta per me, a spiegarmi con la tua presenza che ci sei ancora, che la tua decisione non è riuscita ad uccidere quello che in tutti quegli anni avevamo fatto insieme. Invece mi svegliavo di colpo sempre all'alba, spalancavo tutte le porte di casa ma non trovavo nessuno, non ti trovavo, salvo delle persone anziane che tenendosi per mano cercavano di fare dei passi insieme. Mi sentivo male. Mi facevi male. E appoggiandomi al davanzale provavo di nuovo a scavare tra i nostri momenti, a provare una nuova felicità in qualche ricordo sbiadito dal tempo, dove tu urlavi al mondo che ero la tua piccola principessa, di quando scrivevamo sui muri i nostri nomi cullati dal simbolo dell'infinito e rovinavamo le querce con le nostre iniziali, per dare valore alla promessa che non ci avrebbe mai dovuto dividere. Quelle consonanti sono ancora là, forse, dimostrandomi la nostra stupidità, le nostre parole marcate dal sentimento di quell'istante che credevamo potesse unirci per sempre. Riesco ancora a sentire gli echi delle nostre risate su argomenti banali, chiedendomi se anche tu qualche volta ci pensi e ti perdi nei dettagli dimenticando la strada di ritorno nella vita reale dove noi, come persone insieme, non esistiamo più. Certe mattine capisco che non è il caso di tirare fuori da tombe cose che sono già morte e farle camminare di nuovo. È tutta una nuvola che ormai si è sgretolata nel cielo cessando di esistere. Poi come un forte lampo nel cielo, un ricordo mi fa sobbalzare. L'unico ricordo protagonista di tutti i miei incubi. Quello del nostro ultimo giorno.
Ora che i miei ricordi sono ben chiari, dopo sei anni, riconosco ancora il tuo volto incerto e le tue parole confuse, seguite dall'intreccio di dita e passi svelti da un angolo all'altro.
Questo ricordo mi ha portato indietro di tutto questo tempo, mettendomi di fronte ad un sipario che nascondeva nel suo palcoscenico il nostro ultimo incontro involontario. Essendo una parte esterna alla scena, facendo parte di un pubblico vasto e essendo sopraffatta dalle voci a me vicine, riesco a vedere piccoli dettagli in uno spettacolo che, sin dal principio, non mi è mai appartenuto. Non era mio il ruolo principale, non sono stata io quella ad aver avuto il copione perfetto più di tutti e, ora che ci penso, la parte principale da recitare non è toccata nemmeno a te.
A distanza di tutti quei metri, riconosco i nostri sguardi persi nel vento, per poi perdersi per terra nell'osservare frammenti di sassolini nascosti tra foglie secche, alcune formiche che fanno scorte di cibo, staccando pezzettini da una mollica di pane sporcata da alcune tracce di terra e compiendo un viaggio in fila indiana, scomparendo poi in degli invisibili buchi terreni. Quegli occhi di entrambi erano attenti al minimo dettaglio, invece di alzarsi e guardare la strada che ognuno dei due stava percorrendo allontanandosi. Forse ora che ci penso prima che il sipario del teatro si fosse abbassato, il pubblico aveva applaudito anche ad un terzo personaggio: l'orgoglio. Il nostro orgoglio. L'orgoglio che ci aveva diviso, rendendoci estranei e mandando all'aria tutto ciò che eravamo stati in grado di costruire in tutti quegli anni che ci avevano unito, rendendoci una persona sola. Da quel giorno, quella persona si è spezzata e siamo tornati ad essere due parti indipendenti. Rotti ma completi. Lontani ma felici. O forse fingevamo di esserlo.
Volevo veramente continuare a mentire a me stessa, a convincermi che anche tu ogni tanto mi pensavi e ti sentivi in colpa per il fatto di avermi lasciata in quelle condizioni, senza girarti ancora una volta, senza asciugare le mie lacrime che ti avevano sempre addolorato. Ma non potevo. Sapevo che non ti mancavo. Sapevo che ogni giorno ringraziavi il cielo per aver preso la miglior decisione, ovvero quella di allontanarti da me, da noi. Non era la miglior decisione e lo sapevamo.
Quei giorni dopo la nostra fine sono quelli che forse non dimenticherò mai. Ogni volta che ci si incontrava tu giravi lo sguardo, fingevi di parlare al telefono, mi evitavi tant'è vero che dubitavo della mia presenza, mi passavi vicino fingendoti perso a cercare qualcosa nelle tasca dei pantaloni. Poi avevo imparato a farlo anche io. Anche se faceva male. Continuavamo ad evitarci perché sapevamo entrambi che era la cosa giusta da fare. Nessuno aveva intenzione di tirare fuori di nuovo quell'argomento e discutere per bene fino al sorgere del sole. E io, ancora oggi, ogni giorno aspetto il tramonto, per segnare con il dito il lontano orizzonte e salutare il sole, come facevamo noi quando ci annoiavamo il pomeriggio. Perché ci sono cose che non si smettono di fare neanche dopo averci provato con tutte le forze del mondo chissà quante volte.
E sulla stessa strada che ci aveva scisso in due, oggi questa strada ci ha riunito di nuovo dopo la bellezza di sei anni, facendoci scontrare e facendo rimbalzare per terra tutti i nostri momenti ancora salvati, intatti al nostro interno.
Ci eravamo persi, abbiamo firmato con le nostre stesse mani la fine della nostra storia d'amore, lasciando ai nostri cuori il dolore della separazione e, dopo anni di silenzio incompreso e distanze mai percorse, ci siamo ritrovati uno di fronte all'altro, ormai feriti e consumati dai nostri stessi ricordi.
Vedendoti di nuovo ho fatto fatica a riconoscerti, ci ho messo tanto tempo per capire che sei tu quello che credevo di aver dimenticato per tutto lo scorso periodo. Io che prima ti riconoscevo in mezzo alla folla, oggi ci ho messo due minuti buoni per fare mente locale e conoscerti di nuovo, come se fosse la prima volta.
Sapevamo che la decisione di lasciarci, proposta da te, non era la cosa adatta da fare ad entrambi, ci sembrava ridicolo ma lo abbiamo fatto, ci siamo abbandonati, ed oggi, dopo esserci scontrati per sbaglio in un momento inaspettato e in un posto così familiare come questo, quando ci siamo incoraggiati e ci siamo guardati di nuovo dritto negli occhi, ci siamo ritrovati! Come se quegli anni non ci avessero mai separato, come se quell'ultimo giorno non fosse mai stato scaraventato nella nostra vita.
Sembra incredibile ma siamo uno di fronte all'altra, a guardarci come non mai. Chi l'avrebbe mai detto che quei due, protagonisti del "noi", che passavano le ore a parlare insieme del più e del meno, avrebbero finito per tacere per sempre, rimangiandosi ogni parola detta e lasciando posto a insignificati sguardi e lunghi silenzi di tomba? Chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo buttati nel mare dei guai, senza lanciarci a vicenda il salvagente che ci avrebbe permesso di stare a galla e pensare alla soluzione?! Ormai siamo persi negli abissi più profondi, dove ognuno pensa solo a come salvare sé stesso.
Eppure è successo. Sta ancora succedendo nonostante fossero passati tutti questi anni. Ognuno si frega dell'altro, ognuno vive la sua vita senza far pensare all'altro che lo ama ancora di nascosto, perché ci sono cose che il tempo non cambia, sentimenti che una volta provati per una persona sola, per il susseguirsi di relazioni diventano solo una fotocopia che prende posto dell'originale, che invece resta chiuso nella parte profonda del cuore, continuando a battere per l'unica persona che l'ha messo in vita.
Staccandomi dal tuo sguardo fisso, ho cominciato a guardarti studiando ogni tuo singolo nuovo dettaglio: capelli un po' lunghi, vestiti neri, barba, occhiali.. quando ho capito che era il tuo nuovo look mi è crollato il mondo addosso. Possibile che in quei quattro anni, dove non ti ho più sbloccato per vedere i tuoi ultimi aggiornamenti, tu sia cambiato così tanto? Sei diventato diverso, strano, uno sconosciuto e totalmente diverso dalle mie aspettative. Immaginavo di trovarti più bello, felice, in forma, magari mano nella mano con la tua nuova dolce metà, ma a quanto pare e lo può confermare anche il tuo volto, sei triste, sei solo. Non so perché ma mi hai commosso, il tuo stato mi ha toccato. Sono rimasta per qualche secondo a combattere con i miei flashbacks che, uno dopo l’altro, cercavano di confermarmi quanto tu sia cambiato rispetto a come eri sei anni fa, riuscendo a subire una trasformazione quasi radicale. Squadrandoti di nuovo, mi sono accorta che forse sotto a quella barba, dietro a quei lunghi capelli ci sei ancora tu, la persona di sempre, quel nostro piccolo grande amore, quella minuscola fiamma di felicità. Mi sono accorta che sei ancora tu, sì, lo stesso: ho cercato con i miei occhi di toglierti quei capelli in più, di rasarti quella barba e di metterti addosso i vestiti di sempre, ma ho scoperto che non ti stanno più. Quegli oggetti appartengono a quella vecchia persona che a quanto pare non sai più essere, l'hai lasciata andare definitivamente. Non ti stanno più a pennello quei piccoli particolari che una volta mi lasciavano senza parole. Non sei più tu e questo mi dispiace.
Ci siamo scusati a vicenda imbarazzati, pronunciandoci un “scusa” improvviso, freddo, insignificante e ce ne siamo andati, ognuno per la sua strada, tornando nei nostri due mondi dopo aver verificato che il nostro mondo è ancora lì, in attesa del nostro ritorno. Abbiamo raccolto con noi le valigie di parole che non ci siamo voluti buttare addosso per coprirci dalle colpe del passato e, senza guardare di nuovo quello che stavamo per lasciare, per l'ennesima volta, ce ne siamo andati per sempre, lasciando ancora una volta dieci minuti di applauso per il nostro orgoglio.
E anche oggi, allontanandoci di nuovo, continuiamo a mentire, a fingere. E noi non abbiamo dimenticato. E no, non ci siamo dimenticati.



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Opera scritta il 15/06/2020 - 23:00
Da HrnRs Sar
Letta n.626 volte.
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Commenti


Mi è piaciuto molto il tuo racconto per come l'hai scritto e per tutti i sentimenti che emergono...e il finale inoltre è molto vero:non si dimentica mai veramente!Molto brava

barbara tascone 16/06/2020 - 13:08

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