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Farewell

Non potevo dirtelo. Quindi te l’ho disegnato.
Tu avrai capito, sicuramente. Ne sono certo. In fondo, già lo sapevi.
Ecco, forse, dico forse, quello che non hai capito è che era anche qualcos’altro. Un addio. Farewell.
Quel foglio spesso, pesante, rugoso ( 50% cotone, mica cazzi) era anche la mia ultima carta. Non da giocare, no. Da scartare.
Sono seduto a questo tavolo da gioco da troppo tempo. Senza più una lira. Si, sono abbastanza vecchio da trovarmi più a mio agio scrivendo “lira”. Ma non così vecchio, dai. Forse vecchio dentro, ma quello da sempre. Sono fatto così.
Un po’ ho avuto mani pietose, un po’ le ho giocate male io. Diciamo che la verità sta nel mezzo.
Fatto sta che, pezzo dopo pezzo, ho perso tutto. Mi rimaneva questa carta e già sapevo che era per te. Chiamiamola un’eredità. Mi piace essere pretenzioso, a volte.
Ora, mentre mi alzo, nonostante tutto sorridendo, penso che sia giusto così: affinché qualcuno vinca, qualcun altro deve perdere. Ci piace pensare che non sia così, l’essere umano indulge sempre in rassicuranti pensieri per combattere l’entropia della sua esistenza, ma è una verità universale, un postulato.
Non mi lamento. Francamente ho vinto e stravinto tante altre partite, la fortuna mi ha arriso in molte occasioni. Ma non a questo tavolo, no. A questo tavolo, era scritto che io vestissi i panni del perdente, dell’emarginato, dello scartato. E, volente o nolente, ho recitato questo ruolo fino in fondo, fino all’ultima battuta. Ora, posso anche uscire di scena.
Sono contento che ora l’abbia tu. Il disegno, intendo. E’ uno dei migliori che io abbia mai fatto. Non te l’ho detto, ovviamente. Ogni linea è densa di attenzione, ogni traccia di grafite è lì perché deve essere lì e non ne servirebbe né una di più, né una di meno. In ogni ombra c’è anche un mio sospiro e nella luce dei tuoi occhi c’è un po’ della luce dei miei. La sinuosità dei tuoi capelli non ha fatto tremare la mia mano, ognuno di loro meritava un segno, ed in ogni traccia li ho abbracciati tutti. La tua espressione è emersa dal foglio piano piano e più usciva, più emergeva dalla nebbia bianca dell’anonimato, più mi rendevo conto che stavo solo liberando qualcosa che già c’era. Non sul foglio, non nella matita, ma nella mia mano.
Finito, ho posato la sanguigna. Stanco, sudato e anchilosato. Ma soddisfatto. Non ho mai fatto l’amore così intensamente. Non è stata masturbazione, non è stato accoppiamento: è stato qualcosa che non proverò mai più. Etereo e concreto, peccaminoso e virtuoso allo stesso tempo.
Vorrei almeno avere la soddisfazione di poter ammettere a me stesso che ti amo. Ma non posso. Non posso tradire ciò che sono.
L’amore non è un sentimento, è un concetto. E’ stratificato, complicato e ambiguo. E’ rispetto, affetto, intesa, sensualità, ma è anche odio, egoismo, possessione, dolore. Come posso dire di amarti? Io non ti amo. Potrei amarti solo dopo una vita con te, una vita insieme. Una vita abbastanza lunga da imparare anche ad odiarti. Una vita che non ci sarà mai. Forse, magari, in un’altra vita.
C’è l’intenzione, quella si. L’intenzione di amarti. Destinata a restare tale, condannata alla sua futilità, alla sua esistenza priva di senso e scopo.
E per questo, ti dico addio. Ti ho detto “ci vediamo”. Un saluto anonimo, un saluto svogliato, da amici di vecchia data. Ma intendevo dire che non ci vedremo più. Almeno, tu non vedrai più me. Scherzeremo ancora, rideremo ancora, parleremo e cammineremo fianco a fianco ancora e ancora, chiacchierando della vita, del tempo e della pazzia della gente, ma io non ci sarò più.
Seppellisco a fondo tutto questo, affido questo disegno a te e questa storia al mare.
Lui, l’amore bambino, pigolerà sempre più piano poi svanirà come un ombra nella notte. E nella sincopatia della vita frenetica di tutti giorni, nel tempo che scandisce il tempo impietoso e costante come la marea, nell’affollarsi di pensieri quotidiani, nel moltiplicarsi delle mie rughe e nel vacillare delle mie convinzioni, piano piano, dolcemente e dolorosamente mi dimenticherò di te.
E’ effimero, in fondo, un amore mancato.



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Racconto scritto il 04/09/2015 - 01:47
Da Tommaso Ferranti
Letta n.1188 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie

Tommaso Ferranti 07/09/2015 - 10:29

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Emozionante e struggente. Complimenti.

maria clara 05/09/2015 - 17:58

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