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I FIGLI DI NESSUNO

(Dello stesso autore: Tratto dal libro “Filastrocche magiche e disincantate con dipinti e personaggi d’autore”. Ediz. Youcanprint self publishing. Settembre 2015)


Sentite adesso questa storia che forse potrà interessare qualcuno.
Vi voglio parlare di quei figli considerati di nessuno.


Costoro non sono, per davvero quelli abbandonati.
Neanche quell’altri maltrattati, derisi o diseducati.


Niente affatto! Non mi riferisco a quelli privati, forse, della dignità.
Invece sono quegli altri, che hanno ricevuto tutto l’amore, dalla mamma e dal papà.


Vi voglio descrivere proprio costoro
che invece, sono stati troppo amati,
coccolati, ben curati, seguiti e sospirati.


I figli che hanno rappresentato il meglio per un papà.
Persino l’orgoglio, il vanto e ciò che altro dire, più non si sa.


E da vanto, vanteria e pregio sono stai ritenuti da quei padri,
sin dalla loro nascita, un vero privilegio.
Hanno avuto tutto, finanche il fiato prelevato ogni momento,
sia quello bello, che brutto del tormento.


Non lasciando mai ai genitori neanche un centesimo di nulla
ma solo la speranza e tanta voglia.
Questi figli che son cresciuti con ogni felicità,
alla fine, sono rimasti fuori dalla realtà.


Quando furono cresciuti, quel genitore
s’aspettava un cenno, pur minimo, di amore.
Ma nel momento in cui notava che tutto si realizzava con ardore,
ebbe una brutta, sgradita meraviglia.


Questo figlio, appena sposato,
tutti i familiari, forse per una strana magia,
aveva, sostanzialmente, allontanato.
Disse chiaramente che quella d’origine
non la considerava più, parte della sua famiglia.


Rimase povero, deluso come derubato quel padre, e pure disincantato.
Non poteva credere a tutto ciò che aveva appena udito.
Diventò, d’un tratto, poverissimo e senza più una goccia d’amore,
che potesse appagare la sete del suo cuore.


Si sentì sconfitto, come un soldato in una guerra, pure a morte ferito,
con l’aggravio che non sapeva da dove quel colpo di fucile fosse partito.
Rimase, per tanti anni, in una pressante agonia,
finché arrivò l’attimo che lo liberò da quell’orribile prigionia.


Tornò, la sua anima, nel cielo da dove era partita.
Pregò il buon Dio che la storia di quel figlio non fosse così finita.
Che continuasse, magari, a far del bene a qualcuno.
Ma in cuor suo, quella carne della sua carne,
rimase proprio il figlio di nessuno.


Non appartengono più ai padri questi figli che col tempo diventano sbiaditi.
Sono come foto dai contorni indefiniti.
Se s’incontrano per strada, di sicuro, si riconoscono uno per uno.
Dal loro viso, si legge che hanno deciso di non appartenere a un padre alcuno.


Chi li vuole e chi li cerca? Nessuno oramai lo sa!
Eppure quel figlio, proprio quello, lo riconosco tra mille.
Era il “mio”.
Era il figlio che una volta apparteneva a suo papà.


Volevo avvicinarmi, per ritrovare ciò che a lui mi legava.
Ma più m’accostavo e di più s’allontanava.


Ritorna quando vuole questo figlio di carta pesta,
solo quando si ricorda di una festa.
Quella da passare diversamente.
Ma quegli, non è più il mio figliolo che tenevo nella mente.


Dov’è finito mio figlio che avevo, sin da piccolo e ben curato?
Se lo vedete, ditegli che l’ho sempre amato.
Nel mio cuore, c’è sempre un vuoto senza fondo,
e non può mai essere colmato da nessuna cosa al mondo.


Resta così, giorno dopo giorno, un momento per lacrimare.
Nell’attesa che qualcuno venga alla mia porta. prima o dopo, a bussare.
Che mi dica, per davvero, almeno una sola volta, “ti voglio bene papà”.
Potrà essere la frase, magari, chi lo sa! Forse in vita, mi riporterà.




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Racconto scritto il 12/07/2017 - 08:28
Da Vincenzo Scuderi
Letta n.1053 volte.
Voto:
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Commenti


E' una storia amara, l'ho letta più volte, mi ha colpito...

Grazia Giuliani 12/07/2017 - 15:11

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