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Le onde di Teti

A Sophie si strinsero le viscere; il bambino era morto. Il sangue del suo sangue, la creatura che era cresciuta dentro di lei per tutto quel tempo, che aveva succhiato la sua linfa vitale e a cui lei aveva dato tutto il suo amore, il buio nel tutto, era inerme tra le sue braccia. Sophie cominciò a piangere, a strapparsi i capelli e ad urlare alla terra che il suo corpo era smunto, la sua coscienza straziata, le sue lacrime interminabili. Un dolore simile sarebbe stato difficile da sopportare, con Marvate che era andato via da tempo e Sheila scappata chissà dove. I tempi in cui la gioia permeava la sua bocca, le disegnava con naturalezza le fossette intorno agli angoli delle belle labbra, le illuminava gli occhi di un topazio autunnale, tutti erano già terminati. Strappati, distrutti. Meritava tutto questo, ne era ben consapevole. Adesso la ruota avrebbe girato, e stavolta toccava a lei. Inevitabilmente.
Così, sola, si rannicchiò sul terreno e si lasciò avvolgere dalla disperazione che le scivolò sulle ossa come acido immobile.
Una nuova alba, la nuova era del regno di Teti, stava sorgendo. Dopo il crollo delle certezze, il sangue della patria versata a terra come un qualunque animale sgozzato, le ceneri sparse al vento, Teti sarebbe rinata come una fenice. Bisognava solo aspettare il fuoco, la vendetta, la cima. E reagire all'alba della nuova era significava dissotterrare l'insicurezza instabile e riordinarsi dentro; facile o no, bisognava farlo. Bisognava demolire i castelli in declino e crearne altri, partendo dalle viscere buie, per poi risalire su scale di pietra. Forse lì sarebbe nata una nuova storia, più consapevole, meno fragile. Un nuovo regno.
Negli occhi della gente qualcosa era cambiato, sembrava che tutti portassero addosso il sapore della sconfitta, una sorta di amaro insaziabile, di visibile e concreto annichilimento del sogno e del ricordo. La sensazione era quella di manichini e marionette che si muovevano incessantemente sotto il flusso e la manipolazione di un destino incerto e crudele. Egli tesseva le fila di arabeschi e labirinti, infondeva amore a chi aveva l’aria di sopportare a testa alta le disgrazie e le spine delle insidie, ma buttava a terra anche chi della sua vita ne aveva fatto un trionfo dorato, e le gettava a terra con un dito, con un tocco di spalla, senza alcuna ragione.
Tutto sembrava spirare un terribile presagio, dall’angolo impolverato vicino la chiesa, povero di anima umana, alla grande piazza gremita di gente. Ogni cosa sembrava avvolgere quella grande folla di un fumo terribilmente nero, e tutti ne erano stati contagiati, sporchi in viso, straziati, smagriti, ridotti al midollo, tutti meno che la giovane fanciulla dalla cera rosea e dal passo incalzante, che si aggirava tranquilla sulla terza via intonando la “Lorelei” e sorridendo di buon grado a chiunque la osservasse. Non era difficile notarla; emanava un’aura sgombra dai pensieri e dai turbamenti che tagliavano la gola, e non solo perché fosse giovane; no, lei era Jasmine Gazet, la bella figlia del vice governatore di Teti, la carne d’agnello immersa tra il marcio della società, la noesi tra paradiso ed inferno, la gioia che illuminava l’aria di cobalti e rossi carmini.
Bastava guardarla in viso per innamorarsene; la consapevolezza di essere alquanto piacente le dava quel tocco in più di classe e di grazia, una perfetta bambolina da collezione in mezzo a pedine scheggiate e storpie.
<<Buongiorno Mrs Dalloway!>> esclamò con vigore Jasmine. <<Spero suo marito si sia ripreso da quella brutta caduta di ieri, mi è dispiaciuto talmente tanto vederlo abbattuto che non ho potuto fare a meno di chiederle come stesse>>.
La sua gentilezza colpiva come un’ascia quelle fumigazioni taglienti e brucianti che appestavano l’aria di così tanta asfissia.
<<Oh, miss Jasmine, buongiorno, che piacere vederla! Lei è sempre così accorta nei confronti di mio marito! E beh, proprio in proposito, se devo dirla tutta, Alphred non sta ancora molto bene. E’ vecchio ormai e qualsiasi spigolo tocchi, sa com’è, lamenta dolori lancinanti. Che sia un vecchio brontolone non c’è dubbio. Però si riprenderà, eccome se si riprenderà! Un bel brodo e un po’ di riposo, ed ecco tutto!>>.
<<Sono molto contenta di saperlo, e spero si riprenda presto. Qui c’è bisogno di gente come suo marito. D’altronde, l’infuso di lumache è sempre stato il mio favorito. Le auguro una buona giornata Mrs Dalloway, sempre accorta com’è! Arrivederci!>>
Un sorriso raggiante le illuminò le gote rosee e le accese di un rubino colorito, e dopo aver ricevuto i saluti della signora Dalloway, continuò a camminare canticchiando la sua “Lorelei”, leggera come se tutti i pesi del mondo non le appartenessero.
Quello che da sempre Jasmine ignorava, era che (...)
(continua)



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Racconto scritto il 15/01/2014 - 19:34
Da Giorgia Deidda
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