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#racconti metropolitani

#pensierimetropolitani#
Con che fatica quella giovane madre deve alzarsi presto la mattina per sistemare e preparare al meglio sua figlia…


E’ piccola di statura, giovane di viso, ma si intuisce la sua forza di madre dalla convinzione dei suoi gesti, dall’espressione sempre sorridente e paziente col mondo intorno, di chi ha dovuto imparare a gestire la propria sofferenza e la prepotenza degli indifferenti.


In più stamattina come al solito siamo troppi alla fermata. Troppi. Sarebbe corretto dire tanti. Troppi fa percepire un sovrappiù inutile… Ma siamo persone : lavoratori e genitori e studenti e anziani (che dopo aver fatto la loro parte ora vanno a curarsi nell’ospedale vicino per continuare a vivere meglio che si può)…non dovrebbe esserci un sovrappiù inutile dunque.


Ma di questa riflessione faccio subito a meno: gran parte vorrei si dissolvesse per legge naturale, esattamente tutto il sovrappiù egoista e spietato che mi si presenta all’improvviso, perché all’arrivo del fatidico ritardatario 81 questa gente esagerata si accalca bestialmente per salire come stupide pecore senza ragione, chiudendo immediatamente il passaggio a quella madre che avrebbe l’assoluta precedenza con la sua carrozzina che accoglie sua figlia più alta di lei, più pesante di lei, che la mattina si alza ancor prima di noi per lavarla vestirla nutrirla e sistemarla su quella carrozzina che ora nessuno vede. Si fa da parte lei, la giovane madre sorridente e paziente e forte ben sapendo che l’aspettano nel vicino ospedale per le terapie quotidiane che daranno solo dei miglioramenti a sua figlia, ma non serviranno a farla parlare né a farla camminare. Mai andrà da sola per la sua vita sua figlia. Mai per il mondo.


Si accalcano per salire! quando sarebbe cosi’ naturale, umano, ovvio, farle spazio ed aiutarla.
...Neanche mi sentono e comunque non la penserebbero come me…


Rimango attonita e piena di sdegno a guardare pensando che l’autista, avendone facoltà potrebbe evitare tutto questo ma il più delle volte non fanno niente indifferenti e abituati ad ogni cosa.


Lo guardo e lo guardo e lo guardo cercando di mandargli il mio pensiero, sto per andare da lui, ma lo vedo alzarsi dal suo posto di guida,
il gregge umano si lamenta perché non parte, lui si fa strada in mezzo a quell’ammasso di egoisti pressati, scende e con mia grande infinita gioia lo vedo andare alle porte centrali e dire” prego signori scendete, devo tirar giù la pedana per far salire la carrozzina”. Qualcuno ancora osa dire - senza vergogna- che non c’è posto, e lui fa scendere tutti quelli che occupano lo spazio riservato ai portatori di handicap e finalmente quell’ammasso di stupida carne umana che ha insistito tanto ad accalcarsi uno sull’altro respirandosi addosso e stringendosi in uno spazio inesistente - come fossimo alla fine di ogni possibilità-, scende lasciando passare chi è stato già colpito da abbastanza disgrazia per dover subire anche l’indifferenza e la stupidità della sua specie.


Mi avvicino all’autista, gli stringo il braccio, ormai ho le lacrime agli occhi, mi complimento con lui e lo ringrazio. Ha fatto solo ciò che prevede il regolamento: scendere per tirare giù la pedana per le carrozzine, ma oggi mi è sembrato un eroe in mezzo a troppa gente cieca.


Sono arrivata, metto via il libro che sto per finire di leggere con grande difficoltà perché esageratamente irreale: “Cecità” di Josè Saramago.
Da una fermata all’altra non mi sembra più affatto esageratamente irreale.




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Racconto scritto il 19/01/2022 - 08:34
Da adriana ferretti
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