Isidra il solitario, ormai era questo dall’adolescenza. Il sui compagni il vecchio bastone di legno e una speranza mai rivelata.
La scogliera di Maipus lo attendeva come tutti i giorni, rifrangendo con rabbia i flutti per schiumare i lembi di terra prigionieri delle radici dei pini rimasti.
Ogni passo sulle rocce scoscese era l’occasione per un saluto alla natura e una maledizione all’umanità.
Le rondini evitavano di giocargli intorno, lo scortavano verso la sua meta come un corpo di guardia ad una parata.
Finalmente il picco roccioso dinanzi, finalmente la nicchia dove riposare, finalmente solo il rumore del mare a coprirne ogni altro.
Anche Isidra era vissuto nell’illusoria gioventù, dando sfogo ai sogni ed alle follie, ma il tarlo dell’età adulta lo aveva fatto preda di sé molto prima degli altri, rendendolo un uomo-bambino. I giochi con gli amici erano inappropriati alla sua mente, gli scherzi, le burle, offensive. Le compagnie inadatte e sempre più schive. Isidra era il diverso del villaggio.
Dapprima gli adulti lo stimavano per il suo modo posato di affrontare la vita, poi, col tempo anche loro lo isolarono fino a detestarlo.
Isidra sapeva che quello doveva essere il suo destino e non ne soffriva, dentro di se gli esseri umani non occupavano un posto di favore, anzi, erano solo il contorno della natura in evoluzione.
Distese le gambe tra gli aghi dei pini fino a sentirne le bucature. Un piccolo dolore per risvegliare il piacere della vita. Il chiurlo si fece sentire tra una risacca e l’altra, la mente lo seguì nella fossa della meditazione.
Gli spazi vorticarono spalancandosi alla luce profonda tra schegge di buio, i suoni esplosero nel silenzio atavico, il sapore del mare era ora sapore del tutto nel niente assoluto.
La scogliera di Maipus lo attendeva come tutti i giorni, rifrangendo con rabbia i flutti per schiumare i lembi di terra prigionieri delle radici dei pini rimasti.
Ogni passo sulle rocce scoscese era l’occasione per un saluto alla natura e una maledizione all’umanità.
Le rondini evitavano di giocargli intorno, lo scortavano verso la sua meta come un corpo di guardia ad una parata.
Finalmente il picco roccioso dinanzi, finalmente la nicchia dove riposare, finalmente solo il rumore del mare a coprirne ogni altro.
Anche Isidra era vissuto nell’illusoria gioventù, dando sfogo ai sogni ed alle follie, ma il tarlo dell’età adulta lo aveva fatto preda di sé molto prima degli altri, rendendolo un uomo-bambino. I giochi con gli amici erano inappropriati alla sua mente, gli scherzi, le burle, offensive. Le compagnie inadatte e sempre più schive. Isidra era il diverso del villaggio.
Dapprima gli adulti lo stimavano per il suo modo posato di affrontare la vita, poi, col tempo anche loro lo isolarono fino a detestarlo.
Isidra sapeva che quello doveva essere il suo destino e non ne soffriva, dentro di se gli esseri umani non occupavano un posto di favore, anzi, erano solo il contorno della natura in evoluzione.
Distese le gambe tra gli aghi dei pini fino a sentirne le bucature. Un piccolo dolore per risvegliare il piacere della vita. Il chiurlo si fece sentire tra una risacca e l’altra, la mente lo seguì nella fossa della meditazione.
Gli spazi vorticarono spalancandosi alla luce profonda tra schegge di buio, i suoni esplosero nel silenzio atavico, il sapore del mare era ora sapore del tutto nel niente assoluto.
Così giunse sera, quando le rondini lo salutarono con un lieve sbatter di ali e la risacca si fece oleosa lungo gli anfratti.
Anche oggi era stato un gradino verso il domani e così sarebbe stato ancora, mentre l’umanità avrebbe cercato un nuovo appiglio per giustificare a se stessa la ricerca del nuovo, Isidra, avrebbe fatto tesoro delle emozioni abbandonate dagli altri.
Si alzò incamminandosi tra gli anfratti di roccia, salutato dall’amico pietrisco, coccolato dai raggi di luna, disturbato dal suono di un Boing, in volo, mancante del rispetto che solo le rondini hanno.

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