Negli occhi hanno un gatto nero
che diffidente ci osserva passare
sperando in un sole anche settembrino pur che sia.
E le vedi camminare lentamente
nascondendo tra i fiori delle gonne
la cenere dei falò alla luna
e le ali dell’ultimo vampiro rimasto.
Parlano da sole le zingare
per una magia o una preghiera
forse per un filtro d’amore o solo per amore
mentre stringono forte il coltello nel segreto della tasca.
Hanno sempre un bambino attorno al collo,
figlio di una solitudine o di una malinconia
e ti mostrano il seno spavalde
guardandoti dritto negli occhi.
Del destino degli altri sanno la parte più oscura.
Il loro porta il segno pesante di una cicatrice uncinata.
Della mano conoscono i monti e le linee che vanno a finire,
ma la verità e la sfortuna non te la dicono mai.
Oggi piove di sbieco sulla faccia,
acqua affilata che scioglie ogni potere.
Mi tende la mano la zingara
e troppo tardi s’accorge che ho letto e capito
che è figlia di un dio sconosciuto
perché non c’è linea di vita nel suo palmo,
ma solo un carrozzone antico di vento, di lacrime e d’ira.

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