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Quel primo settembre del 1968

Avevo dieci anni, quando Vittorio Adorni a mani alzate tagliò il traguardo; il telegiornale sportivo, allora in bianco e nero trasmise le immagini, che lo consacravano campione del mondo. Quel primo settembre del 1968, il mondo dello sport rimase scioccato da quella che ciclisticamente parlando, può essere tranquillamente considerata una delle più grandi imprese di tutti i tempi, compiuta da Vittorio Adorni; un corridore elegante, bello in guanti bianchi. Rivisto a distanza più volte nel tempo, il filmato fa ancora un certo effetto, per l’impresa e il più grande distacco tra vincitore e secondo nella storia della prova iridata su strada per professionisti (di 9'50") e soprattutto per Michele Dancelli, Franco Bitossi, Vito Taccone e Felice Gimondi che completarono il netto dominio della selezione italiana, con cinque azzurri nei primi sei. Gimondi ha sempre detto che le sue vittorie, arrivate nell’epoca del più forte di tutti i tempi nonché uno degli sportivi più grandi del ‘900, valgono doppio proprio perché conquistate negli anni dove spadroneggiava il cannibale Eddy Merckx e allora le vittorie di Adorni, arrivate nel bel mezzo di quella epocale rivalità? Valgono triplo? Probabilmente sì! E’ alto, biondo e ha gli occhi azzurri, praticamente una star di Hollywood prestata alle fatiche in sella e per la gioia dei giornalisti dell’epoca, per la prima volta un ciclista non risponde a monosillabi o con le solite frasi fatte. Sergio Zavoli, storico conduttore del Processo, lo invitò dopo il successo di tappa del giro d’Italia del 1965 ed ottenne anche la vittoria finale e da lì Vittorio Adorni con la sua verve e un linguaggio brillante e comunicativo diede inizio alla nascita della figura del commentatore tecnico-sportivo, simpatico, spigliato, che sa stare davanti alle telecamere. Vinse la Corsa Rosa, con il maggior distacco al secondo, con più di undici minuti di vantaggio (Italo Zilioli) e con tredici su Felice Gimondi; distacchi del genere non si sono più ripetuti. Gran passista, brillante nella lettura della corsa e, nonostante la corporatura robusta, un signor scalatore. Non ha una carriera particolarmente longeva: è professionista dal 1961 al 1970 ma riesce comunque ad affermarsi come un fuoriclasse del suo tempo. Il talento è indiscutibile, quello che manca a Vittorio è invece lo spunto veloce, che non gli permette di vincere le gare in linea, sembrano respingerlo. In uno sprint a due, se uno dei due è Adorni, sai già chi alzerà le braccia al cielo e non sarà Vittorio; si è visto soffiare una Sanremo e il Mondiale di Sallanches del 1964, nonostante sia stato l’assoluto mattatore di giornata, in volata si sa come finisce. Adorni eterno piazzato nelle gare in linea? Adorni eterno sconfitto agli sprint? Questi sono i chiodi fissi coi quali Vittorio Adorni si presenta il primo settembre del 1968 ai nastri di partenza del campionato del mondo, che quell’anno si svolge a Imola. L’estate del 1968, quella che precede il Mondiale di Imola, non è un’estate normale per Vittorio: infatti, le sue innate doti di comunicatore, gli hanno valso la conduzione di un quiz, “Ciao mamma”, con Liana Orfei. In molti ormai iniziano a storcere il naso: un ciclista professionista che invece di allenarsi e gareggiare conduce un quiz televisivo, si può ancora chiamare professionista? E invece si sbagliano incredibilmente tutti. Adorni, dopo ogni puntata, inforca la sua amata bici e va ad allenarsi come un matto. Il Mondiale è sempre più vicino, e lui ha in mente qualcosa di grande. Primo settembre 1968, Autodromo di Imola: benvenuti alla prova in linea riservata ai professionisti dei campionati del mondo di ciclismo su strada. I chilometri da percorrere sono 277. Il favorito d’obbligo può essere solo uno: Eddy Merckx, mentre l’Italia ciclistica punta all’altro campionissimo di quel tempo, Felice Gimondi. Vittorio è a due passi da casa sua e conosce il tracciato a menadito e insieme ad altri corridori sono scattati a duecento chilometri dall’arrivo: un tentativo senz’altro coraggioso, con un gruppetto ben assortito, Rik Van Looy, Michele Dancelli, Vito Taccone, Herman Van Springel, Franco Bitossi e il portoghese Joaquim Agostinho, ma l’opinione di tutti è quella più scontata: non arriveranno mai. Intanto però il tempo passa, i chilometri anche, e in quattro son sempre là davanti. Quando ne mancano 90 all’arrivo e i fuggitivi transitano sulla rampa di Frassineto, Adorni fa quello che gli riesce meglio fare: scatta, saluta la compagnia e se ne va da solo. Sembra una follia, anzi, è una follia. Dietro intanto la nostra Nazionale fa un lavoro eccezionale, marcando fino allo sfinimento Eddy Merckx fino a neutralizzarlo. A seguire da vicino il tutto c’è un immenso Adriano De Zan, che sta facendo la telecronaca in sella ad una moto ed è letteralmente estasiato e incredulo, racconta quello che di magico e leggendario sta accadendo: il sapore di chi sta portando a termine, chilometro dopo chilometro, l’impresa più incredibile che si sia mai vista in un’edizione del Mondiale. Vittorio è in una di quelle giornate dove gli viene tutto bene e dove nemmeno Gimondi e Merckx potrebbero impensierirlo; è quello del Giro d’Italia del 1965, si rilassa soltanto all’ultimo chilometro eppure avrebbe potuto farlo anche dieci o venti chilometri prima. Adorni taglia il traguardo con quasi dieci minuti di vantaggio su Van Springel, il vantaggio più consistente nella storia della manifestazione. Vittorio che si rivela trionfatore nella corsa in linea più importante con una condotta di gara sontuosa: sapeva di essere battuto in un arrivo in volata, così tenta il tutto per tutto in solitaria. Non si vince un mondiale se le gambe non vanno, meglio se poi sono aiutate dalla testa e anche da un pizzico di fortuna che ripagano i tanti sacrifici sostenuti e poter dire: ne è valsa la pena. Una vittoria di ferocia e rabbia agonistica, alla Merckx, con tutta la grinta e la testardaggine che nemmeno Gimondi, quel giorno, ha esibito. Questo sport che premia sempre la classe, il coraggio e il sacrificio di chi, per un’estate, ha fatto la doppia vita di atleta professionista e conduttore televisivo, una roba incredibile solo a pensarci. C’è un’istantanea di quel giorno che più di ogni altra descrive alla perfezione dell’uomo e ciclista, in solitaria, da dominatore, al traguardo e le mani che vanno subito a coprire il volto.



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Racconto scritto il 29/07/2016 - 11:38
Da Savino Spina
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Commenti


Mi ricordo molto bene quell'impresa, io ne avevo 14 di anni, e anche se quell'anno succedevano tante cose davvero importanti, quella vittoria non passò certo innosservata. Ottimamente descritta.

Luciano B. 30/07/2016 - 00:38

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La storia del ciclismo è fatta di pagine eroiche, di cavalcate mitiche sui colli più aspri delle montagne, ovviamente anche di atleti resistenti alle fatiche più dure nelle condizioni peggiori. Il ciclismo è uno sport meraviglioso perché racchiude molti aspetti; può avere le caratteristiche di una tranquilla pedalata, oppure può avere contenuti atletici elevati se si seguono le orme dei grandi campioni, oppure ancora può essere un interessante mezzo di escursionismo e di esplorazione; è lo sport che più rispecchia la vita; il ciclismo è la metafora perfetta della nostra esistenza. Fatta di salite, che rappresentano le difficoltà della vita, le discese il superamento delle stesse difficoltà e la pianura l’assestamento quotidiano del percorso lineare con tutti i suoi risvolti.

Savino Spina 29/07/2016 - 15:18

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