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La mia ancora

Nella folla ricerco il tuo sorriso, le persone mi passano affianco con noncuranza, come fossi un senzatetto. Se devo essere sincero, è così che mi sento. E’ il miglior modo per descrivermi. Infatti senza il tuo calore, il mio corpo non è altro che la dimora di lacrime e tristezza, una prigione che non posso abbandonare. Dalla quale non posso evadere. Giro il mondo continuamente e non posso fermarmi, altrimenti il tuo pensiero mi raggiunge e mi pugnala ripetutamente con quella malinconia che solo la tua presenza potrebbe colmare. Sei un vuoto che alcool, fumo e droghe non riescono più a colmare. Mi hai portato nella parte più buia dei miei pensieri e la pace è ormai un ricordo che giace in quella beata ignoranza che mi teneva compagnia nei dolci anni della mia infanzia; prima sognavo, adesso muoio in queste righe per non morire nella realtà. A nulla serve piangere, scrivere, ridere, lavorare, vivere, gioire, se la realtà è quella e non puoi farci nulla per cambiarla. Arrivi in quel punto in cui fai tutto meccanicamente, diventi un corpo privo d’anima che fa le cose perché deve, non perché si sente di farle. Giornate fredde e solitarie passano, ma a te non importa più, ormai vivi di ricordi e brami la fine dei tuoi giorni. Nella primavera della tua vita vedi cadere lacrime d’autunno provenienti dal freddo della tua anima invernale, congelata dai sogni e frantumata dalla realtà. Quella che doveva essere la mia ancora di salvezza è andata a fondo e mi ha trascinato con lei, ma la differenza è che lei non ha bisogno di respirare, mentre io ho bisogno di lei come dell’aria.



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Racconto scritto il 05/10/2018 - 00:45
Da Silviu Gabriel Costin
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